L’eclettico sindaco di Trieste, il forzista Roberto Dipiazza, ci ricasca. Per difendere gli alpini dalle presunte molestie addebitate a questi, offende tutte le donne, indistintamente, etichettando i componenti dell’associazione Non una di meno come gentaglia.
Per il rappresentante istituzionale le oltre 500 segnalazioni e più di 160 racconti di donne molestate al raduno di Rimini, dalle truppe da montagna altamente specializzate dell’Esercito Italiano, sono “normali apprezzamenti”.
Verrebbe da chiedere a Dipiazza che concetto ha delle donne, quale soglia non bisogna oltrepassare per non offendere l’altro sesso, secondo lui, e quali politiche di genere ha messo in campo nel Comune di Trieste sotto il “suo” governo di “quel” territorio.  
Offendere tutte le donne, risulta tale la definizione dispregiativa usata per la rappresentanza femminile e femminista delle stesse (Non una di meno), non è consono ad un linguaggio istituzionale, non fa altro che aumentare i distinguo e generalizza un giudizio che travalica nel più deleterio qualunquismo.
Ma il soggetto non è nuovo a esternazioni equivoche. Nel dicembre 2016, in sopralluogo in una nota strada della città di Trieste, il sindaco, vedendo cumuli di sporcizia e rifiuti in strada, si lascia a una affermazione grave quanto intollerabile: Noi non siamo a Napoli, siamo a Trieste.
Ovviamente il popolo napoletano reagì contro quel linguaggio, offensivo e denigratorio, esternato da uno dei soliti soggetti a capo di ruoli istituzionali, prevalentemente del Nord, che si affidano a beceri pregiudizi e luoghi comuni per attaccare sempre e comunque il capoluogo partenopeo.
Del resto, al contrario, non va generalizzato un giudizio neppure verso un corpo intero come quello degli alpini. Ma chi occupa un ruolo pubblico non dovrebbe etichettare una rappresentanza femminile come gentaglia, non può difendere senza appello una intera categoria (alpini), non può spaccare una riflessione verticalmente, mettendo gli uni contro gli altri.
Questo modo di fare è lo stesso di chi sente la competizione con l’altra parte (uomini-donne, nord sud)come podio da vincere,di chi usa un linguaggio che esclude, divide e lacera i rapporti tra le persone.
Sarei curioso di sapere se a Trieste il sindaco Dipiazza abbia mai destinato dei fondi per un centro antiviolenza, una casa rifugio, uno sportello di ascolto, uno spazio femminile autogestito. Ma se anche probabilmente così dovesse essere, una cosa è certa, tuttavia. Questo linguaggio “istituzionalizza” la lettura della violenza maschile sulle donne e non favorisce percorsi di fuoriuscita dalla violenza.
Consiglierei, da ultimo, al sindaco di Trieste di frequentare un “luogo femminile”, sicuramente acquisirebbe quella necessaria elaborazione culturale che struttura la formazione e la prevenzione contro la violenza di genere.
Sono sicuro che ne uscirebbe molto più ricco di idee a tal proposito e, in definitiva, una persona migliore.
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Foto di Jan Vašek da Pixabay 

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