In una rubrica dedicata a #ledisobbedienti Mary Wollstonecraft Godwin Shelley –  volutamente elenco il cognome della madre, del padre e del marito poiché tutti concorrono a formarne l’identità – occupa un posto d’onore.
Trasgredì le regole sociali non solo fuggendo con un uomo sposato – il poeta romantico Percy Bysshe Shelley – e decidendo di non risposarsi dopo la sua morte ma, di più, dedicandosi alla scrittura in modo tanto innovativo quanto, per il suo tempo, fuori luogo.
Fu apripista in due generi letterari: la fantascienza e l’apocalittico. Figlia di due grandi pensatrice/ore, filosofa/o e scrittrice/ore si cimenta, a diciannove anni, con temi complessi e profondi in cui riversa il proprio vissuto rispondendo a una sfida lanciata da Lord Byron in un piovoso pomeriggio di un soggiorno in Svizzera.
Era il giugno del 1816, l’anno in cui a seguito dell’eruzione del vulcano indonesiano Tambora il sole, schermato dalle polveri immesse nell’atmosfera, non riuscì a trasmettere calore.
L’anno senza estate. Sul lago di Ginevra Mary Shelley era con la sorellastra Claire Clairmont, Percy Bysshe Shelley, George Gordon Byron e il di lui medico John Polidori. Dalla sfida a scrivere un racconto gotico nascerà “Frankenstein o il moderno prometeo” pubblicato anonimo nel 1818 con una prefazione di Percy Shelley.
Nessun editore avrebbe pubblicato quel testo se si fosse saputo che a scriverlo era stata una donna, bisognerà attendere la seconda edizione del 1831 per leggere nella prefazione di come la scrittura fosse per l’autrice la passione, nutrita fin dall’infanzia, per lo sviluppare visioni.
Lord Byron e John Polidori scrissero racconti, quest’ultimo con il suo “Il Vampiro” stimolerà la fantasia di altri, ma Frankenstein è tutt’altra storia. È riflessione etica, trauma personale dovuto al senso di responsabilità di una figlia la cui nascita porta la madre alla morte, speculazione filosofica, reminiscenza degli esperimenti galvanici che attraverso l’uso dell’elettricità si proponevano di riportare in vita i morti, scontro titanico tra il Bene e il Male, approfondimento di umane afflizioni come la solitudine e l’approfondimento di temi di grande attualità: l’altro da sé, il mostro, e il potere di generare/creare la vita.
Lavoro imponente in cui, spigolando, si ritrovano frammenti personali. In “Lady Frankenstein e l’orrenda progenie” si analizza, con chiavi di lettura diverse, l’opera della Shelley scegliendo come titolo le parole che nella prefazione all’edizione del 1831 lei stessa dedicò alla sua opera “my hideous progeny”.
A chi si riferisce l’orrenda progenie? Le autrici, assumendo punti di vista differenti, rispondono a questa domanda. Una trattazione approfondita ricca di spunti.
Silvia Neonato si sofferma su la donna che anticipò le nostre paure, Carla Sanguineti su Mary Shelley in Italia. In fuga oltre il dolore, Marina Vitale su L’incubo della generazione: «Lo spazio anonimo, quasi un vuoto, su quella pagina è il suo rifugio, il luogo in cui essere e non essere una scrittrice; trovandosi, come si trovava, su uno scomodo confine tra un mondo di intellettuali che l’avrebbe considerata un mostro, o un aborto, se non avesse scritto, e il mondo più ampio della società primo ottocentesca che giudicava improprio e mostruoso che una donna scrivesse».
Sara De Simone ne Il mostro che la abita argomenta: «Molto spesso nella storia della letteratura le scrittrici si sono confrontate con l’idea della propria creazione artistica come progenie mostruosa. Questo è accaduto, per secoli, anzitutto per la profonda angoscia di stare contravvenendo all’ordine prestabilito, paterno e patriarcale, dunque per il timore di essere, attraverso il proprio atto creativo, portatrici e responsabili di disordine», Anna Maria Crispino scrive di Creature post-umane: da Frankenstein ai Cyborg e Giovanna Pezzuoli in Il cinema  e il suo mostro ripercorre le tante trasposizioni cinematografiche del testo.
La vita e le opere di Mary Shelley sono un universo che cattura per profondità, ampiezza di argomenti trattati e stili letterari frequentati con maestria. Oltre la fantascienza con il famoso “Frankenstein o il moderno prometeo” è necessario far riferimento al molto meno conosciuto “L’ultimo uomo” pubblicato nel 1826 in cui veniamo introdotte/i al genere apocalittico in un testo che affronta nuovamente – proiettandolo nel futuro – il confronto tra il Bene e del Male, la solitudine e la creazione/generazione di una Umanità che corre verso l’autodistruzione e ad “A zonzo per la Germania e per l’Italia” in cui il registro stilistico è quello dell’odoporetica, la letteratura di viaggio.
Quest’ultimo genere fu cifra narrativa importante nella formazione di Mary Shelley per molteplici aspetti, il primo tra questi rimanda al lavoro della madre che, dopo aver letto oltre venti libri di viaggio per conto della rivista “Analytical Review”, giunse alla conclusione che un testo che riguardi i viaggi per essere interessante dovesse esser ben più che una raccolta di resoconti senza l’impianto di una trama, era necessario un filo conduttore.
La sua idea di trama emergerà con “Letters written in Sweden, Norway, and Denmark” scritto in occasione di un viaggio compiuto nel 1795 e pubblicato l’anno dopo, la scelta ricade sul metodo epistolare e se per alcuni si traduce in una ibridazione di stili per altri si allinea allo stampo in voga. Il secondo aspetto rimanda alle opere preferite da Mary Shelley tra cui vi fu “Corinna o l’Italia” (Corinne ou l’Italie) un romanzo di Anne-Louise Germaine Necker baronessa di Staël-Holstein, meglio nota come Madame de Staël, pubblicato nel 1807 e tratto da un diario di viaggio.
Da ultimo la scelta di essere veramente se stessa, abbandonando la censura adottata nei diari per timore di aggiungere materia alle malevole dicerie, affidando alle pagine della letteratura di viaggio un’analisi antropologica, storica, politica e filosofica in cui tratteggiare un quadro attento e puntuale  unita al flusso dei propri pensieri.
“A zonzo tra la Germania e l’Italia” fu pubblicato nel 1844 al termine del suo ultimo viaggio nell’amata Italia in compagnia del figlio Percy Florence. Morirà nel 1851 lasciando una eredità letteraria a lungo offuscata dalla fama del marito a cui, negli ultimi anni, si va restituendo, con gioia di molte/i tra noi, importanza e spessore.
©Riproduzione riservata 

IL LIBRO
Lady Frankenstein e l’orrenda progenie,
di Anna Maria Crispino, Sara De Simone, Silvia Neonato, Giovanna Pezzuoli, Carla Sanguineti, Marina Vitale
Iacobelli editore,
pag 178 euro 13,00

Nelle foto, la copertina del libro e il ritratto di Mary Shelley

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