Filiberto Menna, a 30 anni esatti dalla sua scomparsa. La Fondazione intitolata a lui e alla moglie Bianca ha voluto rendere omaggio, il 6 febbraio scorso, in un’intera giornata di studi distante da una banale commemorazione, a una figura emblematica per il panorama culturale regionale (ma anche nazionale) degli anni Settanta, dotato di un’enorme forza aggregatrice e della capacità di semplificare i problemi, scogliere i nodi e suggerire altri punti di vista.
Durante il convegno a Salerno, dal titolo “Il nuovo che avanza”, gli interventi sono stati numerosi e trasversali, per raccontare al meglio la storia fatta da un uomo, laureato in medicina, teorico e critico militante, intellettuale di sinistra impegnato nella politica, giornalista, curatore di mostre e docente universitario.
Insegnava, come è stato ricordato da Giuseppina De Luca, ordinario di Estetica all’Università degli Studi di Salerno e sua allieva, la virtù dello strabismo, la capacità, cioè, di riuscire a guardare, simultaneamente, in più direzioni, di analizzare le cose, gli eventi, l’arte, da molteplici punti di vista.
Il nuovo e la modernità sono stati termini ricorrenti dell’incontro, così come, del resto, è accaduto nel lavoro del critico d’arte salernitano. Il nuovo che avanza o, per meglio dire, la costruzione del nuovo, rende possibile la progettazione di un futuro migliore da ottenere attraverso l’arte. «La modernità è questo – ricorda il critico Antonello Tolve, autore di un video ricordo rilasciato da Gillo Dorfles nel 2009 – lo spirito che lavora sul presente con lo sguardo al futuro».
Il convegno, con interventi che hanno indagato la figura di Filiberto Menna nella sua interezza e complessità, nei suoi rapporti con l’arte, la filosofia, il teatro, il giornalismo, la politica, fino ad arrivare al suo lato più squisitamente umano e all’atteggiamento maternale, è stato arricchito da una performance dell’artista Pietro Lista, che ha lasciato campeggiare, così come accadde in un comizio di Filiberto Menna nel 1980 in Piazza Amendola a Salerno (foto), uno striscione recante la scritta “Il faut changer la vie”. Le conclusioni sono state affidate alla moglie Bianca Pucciarelli Menna, in arte Tomaso Binga, che dopo il suo ricordo e i ringraziamenti ha affascinato tutti i presenti con le sue poesie sonore.
«Filiberto accoglieva tutti – ha raccontato parlando del rapporto suo e di suo marito con i giovani talenti, incontrati in Campania prima e a Roma poi – perché sperava sempre di trovare “il genio”, una novità, qualcuno che conducesse una ricerca diversa dalle altre. Era un medico sì, anche se il medico in vita sua non lo ha mai fatto, curava, però, tutti i suoi talenti con l’attenzione propria di un medico di famiglia, sperava di trovare il grande artista e spingeva a teorizzare qualcosa di nuovo e di valido».
Filiberto Menna manca a Salerno e alla Campania tutta. Sono molti gli artisti che tuttora seguono le sue indicazioni considerandolo un punto di riferimento. E la Fondazione Filiberto e Bianca Menna conferma la sua disponibilità all’incontro con i giovani, sottolineando, in pieno stile Menna, di essere in costante ricerca del nuovo.

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