Una panchina rossa dedicata alla memoria di Ornella Pinto. Appena inaugurata per ricordare la giovane donna napoletana assassinata dall’ex convivente nel marzo scorso. L’opera, fortemente voluta dall’Unione Italiana del Lavoro, è stata dipinta dall’artista Valentina Guerra.
Il luogo prescelto per l’installazione è il piazzale Molo Pisacane. All’inaugurazione hanno partecipato dirigenti e sindacalisti della UIL, l’autorità portuale, rappresentanti della Regione Campania e del Comune di Napoli.
Al saluto commosso di Vera Buonomo, segretaria regionale della UIL Campania con delega alle Pari Opportunità, hanno fatto seguito alcuni rapidi saluti istituzionali.
All’evento erano presenti i familiari di Ornella, una delle 35 donne assassinate per violenza di genere dal principio dell’anno. E anche l’autrice del lavoro artistico che campeggia all’ingresso di uno dei principali varchi di accesso al porto di Napoli.
Valentina, un tuo pensiero sulla vicenda di Ornella Pinto?
«Purtroppo è l’ennesimo femminicidio che ci riguarda da vicino ed è importante tenere alta l’attenzione su un fenomeno che, soprattutto in pandemia, ha raggiunto livelli ancora più pericolosi. Credo che Ornella, come altre vittime, sia parte del sistema marcio intrinseco nella nostra cultura, in cui crescono e vivono persone come il suo compagno che di fondo sono violente ed egoiste. Penso anche al figlio a cui è stata stravolta la vita e che avrà bisogno di tanto aiuto: Mi domando: il sistema sarà in grado di non lasciarlo solo? Me lo auguro».

Vera Buonomo, segretaria regionale UIL Campania, accanto all’opera dedicata a Ornella Pinto


Perché hai scelto le farfalle?
«La farfalla è il simbolo dell’anima e della fragilità della vita, bellezza e delicatezza insieme. Le farfalle vivono per troppo poco, ma regalano luce, così come è stato per l’anima di Ornella. Le testimonianze dei suoi colleghi che mi è capitato di ascoltare durante i giorni di lavorazione, sono state molto toccanti e mi hanno aiutato molto in questo senso, poichè non l’ho conosciuta direttamente e mi sono servite per esprimermi come meglio potevo».
Qual è il senso dell’opera e come dialoga con la condizione della donna, in particolare a Napoli?
«La panchina rossa è diventata un simbolo universale, così come le scarpe. Se potessi, ne metterei una in ogni piazza e strada così che il rimando concettuale entri d’abitudine anche solo nell’immaginario collettivo. Se fatta poi, come opera corale commemorativa, può coinvolgere maggiormente e non restare soltanto un mero oggetto d’arredo urbano agli occhi della gente. Dobbiamo spingere al massimo il senso profondo di queste operazioni, al di là di chi le commissiona, perché il messaggio che lanciano è importantissimo soprattutto per le nuove generazioni e in quelle zone più disagiate che sembrano abbandonate a loro stesse».

Valentina Guerra, autrice dell’opera. In alto, foto di gruppo all’inaugurazione


L’arte può contribuire ad arrestare la violenza di genere? «Sicuramente il contributo artistico ha sempre avuto una parte importante in questo tipo di lotta. Ci si può esprimere ben oltre le parole e arrivare a molte più persone. Ma, chiaramente, dev’essere una parte del tutto, in concerto con le istituzioni o le autorità che purtroppo non sono presenti nel momento del bisogno, c’è troppa solitudine e troppa cattiva informazione. L’arte può servire anche a scuotere in questo senso, come protesta e ribellione».
Che messaggio senti di dare alle nostre concittadine?
«Sento quasi sempre ribaltare il ruolo vittima/carnefice o chiedersi perché la vittima non ha detto/fatto cose per tempo, come una denuncia o comunque una reazione. Mi sento di dire di non essere vittima esattamente di questo stereotipo. Chi subisce non ha torto, mettiamocelo bene in testa. Chi muore uccisa, chi viene malmenata o stuprata non ha torto. Chi non denuncia immediatamente non ha torto, il tempo giusto per la vittima è il suo, non quello secondo l’idea degli altri. Dobbiamo avere come scopo comune il batterci per una giustizia che sia tale, per pene che siano commisurate alle colpe e, soprattutto, chiare e più immediate, per giudici che non svolgano il proprio lavoro sulla base di un intrinseco maschilismo. È difficile, è un percorso lungo, ma necessaria. D’altra parte, nessuna battaglia si vince in un giorno solo, né da sole».
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La targa commemorativa [Photo credit: Daniele Maffione]

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