Oggi prendiamoUn caffè con … Alfonso Pecoraro Scanio”, che saluto e ringrazio, con il quale continuiamo il ciclo di incontri per parlare di autonomia differenziata e dei rapporti socio-economici tra Nord e Sud del paese. Già ministro delle politiche agricole e forestali nel governo Amato II, nonché dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nel governo Prodi II, Alfonso Pecoraro Scanio è presidente della Fondazione UniVerde.
Caro Alfonso, il Covid – 19 apre un mondo nuovo nei rapporti tra lo Stato centrale e le Regioni. Al Nord vanno in ordine sparso Lombardia e Veneto, al Sud vistose sono apparse le differenze tra Campania e Calabria. E’ meglio sacrificarlo questo regionalismo, piuttosto che rafforzarlo?
Il regionalismo, se intendiamo un avvicinamento dei luoghi delle decisioni ai cittadini, è sicuramente una conquista da difendere, magari con una maggiore attenzione affinché non diventi centralismo regionale. Quando la scelta è stata fatta, giusta, di avvicinare il luogo della decisione al territorio, questo significava e deve significare sempre più la creazione di una maggiore possibilità di partecipazione per le comunità locali, quindi quelli che abbiamo visto sono una sorta di “centralismi regionali” che si sono scontrati tra loro durante questa emergenza, creando anche un elemento di “cacofonia” istituzionale, per cui tra Stato, regioni, situazioni in cui i sindaci e i Comuni non si capiva cosa dovevano e potevano fare, non ha fatto altro che aumentare la confusione. Quindi un regionalismo che obblighi le Regioni a ricordarsi di essere organi di legislazione e non di gestione, con una capacità maggiore di ruoli effettivi per le comunità locali. Pertanto più partecipazione e potere ai cittadini, non meno.
Perché il dibattito sul meridionalismo negli ultimi decenni si è affievolito, secondo te?
Negli ultimi anni il meridionalismo effettivamente come tema legato alla antica tradizione potremmo dire progressista si è molto affievolito. Il dibattito sul cosiddetto federalismo di matrice leghista ha creato un grande elemento di confusione, da un lato invece di parlare effettivamente di federalismo, che significa fare in modo che tutto ciò che può essere gestito ad un livello più basso non sia delegato a un livello più lontano dal cittadino, dall’altro è altrettanto vero che ciò che deve essere funzionalmente gestito ad un livello più lontano, deve essere curato con efficienza e con capacità di controllo democratico. Per esempio alcune attività possono essere meglio gestite addirittura in chiave europea, non soltanto semplicemente in chiave di stato nazionale. Quindi, la formula del federalismo vero è stata confusa con il cosiddetto “padanismo” leghista prima, a cui spesso ha fatto da contrapposizione una sorta di revanscismo meridionale che si allontanava dai criteri di una giusta analisi di quella che è stata la “questione meridionale” e anche da un’analisi seria su quanto il Sud ha pagato e continua a pagare in chiave di post-unità nazionale, gestita con delle formule che oggi, finalmente, si iniziano a capire e contabilizziamo i danni che ha “ricavato” il Sud. Poi ci sono stati anche altri dati di vantaggio, ma sicuramente il Mezzogiorno non è stato beneficiato dall’unità nazionale.
Ecco perché il dibattito sul meridionalismo se deve essere ripreso va fatto in chiave moderna, dove si analizzano meglio i dati, dove si vede che la società è cambiata, dove si vede che oggi la digitalizzazione prevede delle possibilità attraverso le infrastrutture digitali di tipo diverso dalle richieste tradizionali di vecchie infrastrutture pesanti. Se vogliamo riprendere un dibattito sul meridionalismo deve essere un dibattito sul Sud come possibile motore  dell’Italia e dell’Europa, ma verso una forte innovazione, non sicuramente guardando alle industrializzazioni pesanti del passato.  
Le politiche pubbliche del dopo-Covid 19 dovranno parlare molto di ambiente e territorio. Cosa auspichi per il Sud in tal senso?
Gli aspetti ambientali sono molto più avanti dopo questa emergenza, per la connessione sempre più acclarata da importanti studi scientifici tra l’inquinamento atmosferico e la diffusione e letalità del virus nel caso della Pianura Padana, la zona con la peggiore qualità dell’aria d’Europa, mentre da un altro punto di vista sicuramente abbiamo visto una natura che è stata capace fortemente di rigenerarsi con un lockdown che non ha significato ritornare alle caverne, ma semplicemente ridurre in modo rilevante una serie di attività inquinanti. Quindi se queste attività vengono riconvertite in modo da avere meno impatto ambientale, sicuramente abbiamo una grande capacità di rinnovare il pianeta. Certamente si deve parlare di ambiente, di territorio, anche perché non si può dimenticare che il Climate Change non è andato in lockdown; abbiamo avuto il mese di maggio come uno dei mesi più caldi della storia, abbiamo una condizione drammatica in Siberia, abbiamo una condizione difficilissima in molte zone del pianeta. Pertanto l’emergenza vera, quella del secolo, è il cambiamento climatico. Poi ci sono altre drammatiche emergenze come questa del Covid – 19, ma che non possono fare sottovalutare che il rischio di estinzione della specie umana resta l’emergenza più grande che dobbiamo affrontare. 
In questo contesto ovviamente il Sud ha molto da fare e da dire perché è sicuramente la zona che può di più attingere a energie rinnovabili, per cercare di passare rapidamente ad una fase post-fossili, è una zona dove se si supera l’emergenza e la necessità di dipendere da combustibili fossili, molte zone inquinanti fortemente legate all’industria del petrolio potrebbero finalmente essere ripulite, il Sud ha delle grandi potenzialità sulla biodiversità, sull’offerta sia dell’agroalimentare che del turismo di qualità. Infine, ha grandi eccellenze e grandi intelligenze, basti pensare alla Apple Academy di Napoli, a tutte le altre attività che vedono nel Sud una riserva di talenti ed una grande capacità di usare le nuove tecnologie e i nuovi strumenti di comunicazione del web. Il Sud deve candidarsi ad essere un motore ecologico del cambiamento in Italia e nel Mediterraneo.  
Dopo questa crisi sanitaria di livello planetario si scopre che le Regioni, tanto del Nord quanto del Sud, hanno “preteso” ampi poteri in materia, con risultati poco lusinghieri. Ad oggi, politici e costituzionalisti, stanno facendo endorsement su questi poteri, al punto da rinnegare la riforma del Titolo V della Costituzione.
Si scopre che questo regionalismo, ovvero quello preteso da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, omette la cosiddetta “analisi delle funzioni” (Sandro Staiano, ordinario diritto costituzionale Federico II). In buona sostanza, prima i soldi e poi le competenze, rompendo il patto costituzionale che prevede equilibrio e solidarietà tra le parti del Paese. In che direzione auspichi si vada?
La riforma del Titolo V della Costituzione è stata fatta, come spesso accade in alcune storie del centro sinistra ed in particolare della cultura dei Democratici di Sinistra, per inseguire in modo sgangherato la Lega Nord, pensando che se si approvava questa riforma chissà quanti voti si recuperavano in chiave federalista. Si fece una riforma raffazzonata, votata con pochi numeri di maggioranza, altro errore metodologico poiché una riforma della Costituzione di questo tipo andava votata con un’ampia convergenza. Ha dato la stura a tutta una serie di riforme votate senza un vero patto di riforma costituzionale, quindi un precedente gravissimo. Io personalmente ricordo di essere stato letteralmente ricattato, perché eravamo parte del centro sinistra, a dover votare, obtorto collo, quelle modifiche, riuscendo a salvare a stento l’ambiente, che pure volevano dare come competenza alle Regioni. Io da ministro per fortuna in qualche modo riuscii a salvare il Corpo Forestale dello Stato che anche sull’altare di questo federalismo volevano dare alle Regioni (sempre i D.S.) per farlo diventare il primo pezzo di un corpo di polizia che, addirittura, diventasse polizia regionale. Quella è l’epoca storica in cui è stata fatta in modo sbagliato quel tipo di riforma, ovviamente non è che quella riforma era sbagliata totalmente, ci sono aspetti importanti che potevano pure essere recuperati. In buona sostanza è stato un approccio ideologico, non razionale, ed il fatto che sulla base di quegli errori si voglia continuare su di un regionalismo differenziato che non discute prima delle competenze e del livello in cui i compiti possono essere esercitati al meglio, si rischia di riprodurre gli errori fatti. Per esempio, anche dopo la cosiddetta abolizione delle Province, perché queste non sono state abolite, le competenze sono rimaste, si è creata una struttura fortemente indebolita e alla fine abbiamo avuto difficoltà sia nella gestione delle strade che degli istituti scolastici superiori. Dobbiamo avere il coraggio di dire che alcune cose hanno la necessità di essere centralizzate; il turismo, il servizio sanitario nazionale che, al netto della vicenda del Covid – 19, ha dimostrato che un livello superiore deve garantire standard nazionali uguali per tutti e dei livelli in cui le singole Regioni non possono azzerare la sanità territoriale, senza avere grandi rischi come quelli che ha corso ed ha vissuto la Lombardia.   

Pecoraro Scanio|ilmondodisuk.com
Alfonso Pecoraro Scanio fotografato da Nina Aldin Thune
In alto, un’immagine di Napoli scattata da Nando Calabrese

   
Il Green New Deal europeo potrebbe permettere di recuperare due problemi strutturali del Sud: ambiente e trasporti. Dal tuo punto di vista ci sono dei soggetti sociali di riferimento in tal senso oppure ci faremo trovare impreparati?
Il Green New Deal è una grande opportunità per tutto il paese, dentro questo piano europeo il Sud ha sia l’opportunità dovuta alle rinnovabili, sia per quanto riguarda i trasporti. Penso a dei trasporti e ad una mobilità sostenibili che sono davvero importanti. Io ho presenziato alla conferenza di presentazione, prima del lockdown, a Milano di questa nuova tecnologia che si chiamava “Arper Loop”, che è un sistema di trasporto estremamente veloce basato su nuovi criteri che la realtà di Trenord ha voluto sposare per creare un primo collegamento molto veloce tra Milano Malpensa e la città. E’ li, giustamente, mi facevano osservare che uno dei progetti che stanno sul piatto è la Salerno-Potenza-Metaponto, perché è una tratta assolutamente non ben servita e sulla quale i costi di questo tipo di progetto che tende ad autofinanziarsi grazie anche all’uso dei pannelli solari, a costi molto bassi di esercizio e a costi non molto elevati di messa in opera, potrebbe essere per esempio una tecnologia nuova che se adeguatamente valutata e valorizzata, avrebbe un’efficacia per tutto il Mezzogiorno.
Per quanto riguarda i soggetti di riferimento io oggi guardo molto al mondo delle vere start up innovative, non a quelle finte, e sicuramente a tutta una serie di nuove energie vitali che il Mezzogiorno esprime in modo significativo che, secondo me, potrebbero essere queste il punto di riferimento di un dibattito per il rilancio del Sud.
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