Oggi Prendiamo un caffè con … Guido D’Agostino, che saluto e ringrazio, con il quale continuiamo il ciclo di incontri per parlare di autonomia differenziata e dei rapporti socio-economici tra Nord e Sud del paese. Guido D’Agostino (foto) è presidente dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza.
Il Piano Sud 2030 presentato a Gioia Tauro lo scorso 14 febbraio dal presidente del Consiglio – Giuseppe Conte – una cosa ammette: il progressivo disinvestimento al Sud. Negli ultimi 10 anni al Nord sono andati 21 miliardi, mentre nel Mezzogiorno appena 10. Un motivo questo che fa fuggire anche i giovani; il Sud negli ultimi 15 anni perde oltre 600 mila giovani, tra cui circa 240 mila laureati. Ma è veramente fuori moda parlare di intervento pubblico nell’economia?
È piuttosto terribilmente di moda riflettere sul dissanguamento del Mezzogiorno da cui fuggono letteralmente migliaia e migliaia di giovani. Non è invece, e in maniera assoluta, fuori moda parlare di intervento pubblico nell’economia; esso resta un caposaldo di una società che ha demonizzato tale intervento, in nome di aberranti parole d’ordine dettate dal neo-liberismo e dalla globalizzazione, con i loro effetti nefasti sui rapporto fra economia e politica, capaci di influenzare peraltro consistenti settori della Sinistra.
Nel 2018, il 44% dei meridionali ha limitato la spesa per alimenti di prima necessità, mentre nel nord-est esattamente la metà. Il 25% degli abitanti del Mezzogiorno, nello stesso anno, ha ridotto le visite mediche e gli accertamenti periodici per controlli sanitari (al Nord circa il 10%). Questo si spiega, probabilmente, per le differenze di reddito medio familiare annuo tra le due Italie. Il principio dell’autonomia del Nord, senza meccanismi compensativi, o meglio paritari, peggiorerebbe, a mio avviso, ancora di più quel divario socio-economico. È così?
Le cifre e statistiche appena riportate fanno spavento e parlano di un Sud sempre più e sempre peggio lontano dal resto del Paese. In questo quadro, l’autonomia differenziata di cui è alfiere il Nord che la reclama quasi per istituzionalizzazione causerebbe il definitivo abbandono delle regioni meridionali con una deriva senza ritorno. Una volta venivano definiti e vissuti come la “palla al piede” della parte più sana e progredita del Paese. È il colmo e comunque un disegno offensivo e scellerato da non permettere che avvenga. D’altronde, ne soffriremmo tutti, perché senza progresso. Giustizia e benessere anche da Roma in giù, offenderebbe l’intera Italia.
Regioni a statuto speciale, province autonome, Roma capitale (legislazione speciale), Province, Città Metropolitane. Non sono bastati più di 150 anni per diventare, realmente, un popolo unito nei fatti. E’ proprio difficile distruggere questo ”germe” della separatezza?
L’Italia è nata dell’avere messo insieme pezzi distanti e diversi. La scommessa principale sarebbe dovuta consistere nell’amalgamare rispettando le differenze, le quali permangono ma come ricchezza e identità plurima. Invece si è proceduto al contrario e oggi si vuole che sia sanzionato e istituzionalizzato il divario e  «si salvi chi può»!
Gramsci aveva maturato la consapevolezza che la questione meridionale non poteva essere risolta con rimedi specifici e che, al contrario, doveva essere affrontata nell’ambito di una questione nazionale. Nel 1916 usava queste parola:” Il Mezzogiorno non ha bisogno di leggi speciali e di trattamenti speciali. Ha bisogno di una politica generale, estera ed interna, che sia ispirata al rispetto dei bisogni generali del paese, e non di particolari tendenze politiche o regionali”. Sembrerebbe ancora il problema di oggi, non credi?
Naturalmente, e come su tante altre cose, Gramsci aveva ragione e vedeva giusto. A lui sembrava che il mondo l’avrebbero riaggiustato operai del Nord e contadini del Sud, contro imprenditori e padroni settentrionali e i famigerati agrari del Mezzogiorno. Il fascismo sconfisse la lotta di classe al prezzo di una guerra assurda, pazzesca; la Repubblica ha provato, con provvedimenti straordinari, a rimettere in salute le regioni meridionali e qualche risultato lo ha ottenuto.
Oggi, partiti e correnti, populisti e sovranisti vorrebbero acchiappare brandelli di politica e cucire insieme un tessuto micidiale. Non è la strada da seguire; ci si schiera e si opera per la mera conquista del potere e del governo. Abbiamo bisogno del contrario: costruire una società nuova e diversa, inducendo il mutamento all’interno delle coscienze individuali e forgiando un sentire comune orientato al bene comune e al diritto di avere diritti.
L’ISTAT ci dice che la spesa sociale pro capite in Italia, per l’anno 2017, è stata questa: Sud 58 euro; Nord/Est 172 euro. Mentre per i disabili sono stati spesi 1.074 euro al Sud e 5.222 euro nel Nord-Est. Va tuttavia detto, per onestà intellettuale, che l’incidenza del “finanziamento statale” per i disabili vale appena il 15%. Quindi sono vere due cose: che lo Stato per i meno fortunati versa più al Nord che al Sud, che il Sud finanzia meno le politiche sociali con fondi propri. Come la mettiamo?
Vale ciò che ho appena detto e segnalato, del resto, la vicenda sanitaria recente e ancora in corso dovrebbe avere aperto gli occhi propri su questo punto.
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