Un restauratore che si trova a intervenire su una tela con notevoli lacune sa come operare; esistono, ormai, precise tecniche, codificate a livello internazionale, con le quali recuperare la perduta integrità della pittura: sfumature di colore, tratteggio, più o meno intenso, infatti, ridanno alla tela una parvenza di ritrovata compiutezza senza nascondere, allo stesso tempo, lo stato del deperimento al momento dell’intervento riparatore.
Lo stesso metodo di lavoro non può essere applicato da uno storico nel momento in cui si trova al cospetto di un documento, originale certo, ma del quale esistono poche notizie e del quale, soprattutto, si ignora il contesto.
La tentazione di INTEGRARE, allora, può avere il sopravvento sul rigore scientifico con il quale il documento deve essere esaminato. Se poi questo lacerto del tempo andato si inserisce negli studi e, direi, nelle passioni dello storico, il pericolo di una INVENZIONE, per quanto affascinante, è un rischio concreto al quale si sfugge solo coniugando una precisa conoscenza della disciplina ed una scientificamente corretta volontà di restituire al documento il suo significato storico senza stravolgere i FATTI.
Compito non facile ma se lo storico, in questo caso l’architetto Maria Caputi, con determinazione e con corretta metodologia indaga sulla testimonianza di una cultura che, da anni ormai, orienta i suoi studi, allora il prodotto finale ha tutti i presupposti perché l’operazione possa riuscire rigorosa ed affascinante al tempo stesso.
Sia lode, dunque, all’autrice e al suo coraggio nello sfidare un simile rischio il cui risultato è il bel libro: Il viaggio di Apione. Una missione per l’Impero di Adriano, per i tipi dell’editore Homo Scrivens (pagg. 224,euro 15), prefazione di Fabio Pagano, direttore del Parco archeologico dei Campi Flegrei, e postfazione di Paola Davoli, docente di egittologia dell’Università del Salento.
Un’affascinate lettura che immerge il lettore in un periodo storico e in luoghi così pregnanti di cultura classica come l’area puteolana; pagine nelle quali l’autrice, da anni immersa in un profondo e dettagliato studio di quelle terre, padroneggia la materia e,  soprattutto, veste, con empatia, i panni dei SUOI personaggi.  
«Seguire le vicende di questo romanzo– dice Pagano nella sua esaustiva prefazione- significa …immergersi nei profumi del macellum, o prendere posto sulle gradinate dell’Anfiteatro di Pozzuoli, …entrare in un ambiente termale di Baia o lambire il porto dell’antica Miseno».
Scorrere le pagine del romanzo, seguendo le vicende del suo protagonista, significa, infatti, ripercorrere quei luoghi ben noti, ma riportati al loro antico splendore.
Ma prima di inoltrarci in una lettura del bel libro, occorre riferire dell’esistenza di un documento storico, una testimonianza materiale dalla quale tutto ha inizio: due papiri, conservati presso il Museo Egizio di Berlino, dei quali, purtroppo, si conosce poco per quanto riguarda il loro ritrovamento nella zona egiziana del Fayyum. Poche le certezze; si tratta di due lettere scritte dal marinaio Apione- il protagonista del romanzo- nelle quali il giovane scrive delle sue avventure che lo porteranno dalle sue terre d’origine all’area flegrea.
“Da Apione a Epimaco, suo padre e signore, molti saluti”-
Ecco il mittente: Chi sarà questo Apione? si chiede l’autrice del libro. 
Quando, infatti, questo documento cade fra le sue mani, la giovane studiosa, l’architetto, la storica Maria Caputi, si imbarca in un progetto di grande respiro: la volontà di ricucire le vicende riportate nei papiri, integrandole, s’impone.
Immerse in un preciso contesto storico le parole dell’autrice diventano allora la voce narrante di vicende plausibili le quali, attraverso 29 brevi capitoli, come tanti flash, ripercorrono la lunga storia che iniziata sulle rive del mediterraneo arriva nella zona flegrea; una storia nella quale la vita di Apione si intreccia con i fatti ed i personaggi realmente accaduti ed esistenti in quegli anni; personaggi ed avvenimenti che Maria Caputi rivisita con attenzione e veridicità dimostrando la sua profonda conoscenza della materia e dei luoghi.
Romanzo, dicevamo; certo per cui risparmiamo ogni possibile accenno a quello che accadrà per non privare il lettore del piacere della lettura; ma il libro è anche strumento di studio perché nelle ultime pagine l’esigenza di una rigorosa conoscenza della realtà storica prende il sopravvento rispetto alle vicende romanzate.
Il bel capitolo conclusivo: cos’è vero e cosa no,infatti, rimette ordine nelle varie tessere che compongono l’affascinate puzzle. Le foto, a colori, del documento originale e del luogo in cui fu ritrovato, così come l’aggiornata Bibliografia, l’elenco dei personaggi storici ed il glossario, restituiscono al libro la sua importanza scientifica come strumento di ricerca storica.
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Nelle foto, il Tempio di Serapide, ovvero Macellum di Pozzuoli e la copertina del libro

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