Il sipario del San Carlo si lever  per la prima volta dopo i lavori di restauro mercoled 27 gennaio, in occasione dell’inaugurazione della stagione. “La clemenza di Tito” di Mozart è il primo titolo in cartellone, un evento atteso, preparato da una sapiente gioco di anticipazioni, di appuntamenti con il pubblico, che hanno creato un clima degno di un grande spettacolo. Il teatro ristrutturato è una conquista per la citt  e per gli appassionati di musica di ogni dove, il chiaro segnale che un polso manageriale, come quello del Commissario Straordinario Salvatore Nastasi, può risolvere problemi che sembravano destinati a produrre effetti devastanti. Eppure, il teatro riapre i battenti più splendido che mai, con un’opera di Mozart, che ebbe la sua prima rappresentazione italiana proprio al San Carlo il 14 maggio 1809.

“La clemenza di Tito” non è tra i lavori teatrali più rappresentati del genio di Salisburgo: si tratta, infatti, di un’opera complessa, nella quale si intrecciano il rigore dell’opera seria e alcuni elementi dell’opera buffa, come i recitativi, come nota Jaffrey Tate, che ha diretto l’orchestra del Massimo napoletano. Il direttore inglese ha dominato la partitura con la consueta, disinvolta abilit : di sicuro la direzione d’orchestra è l’elemento migliore di questo allestimento. Sar  l’effetto (controproducente, se cos fosse) dell’ansiosa attesa che ha preparato l’evento, sar  la volont  di “risparmiare” il fiato (queste note si riferiscono alla prova generale), il cast vocale è apparso modesto, senza quelle punte di eccellenza che ci aspettavamo. Tutt’altro: se la bacchetta di Tate ha saputo garantire il giusto livello di tensione degli orchestrali e del coro (diretto da Salvatore Caputo), oltre che una interpretazione snella e priva di inutili orpelli, molto discutibile appare tutto il resto. In una conversazione con Guido Barbieri, riportata nel programma di sala, il regista Luca Ronconi confessa che in quest’opera “è come se sulla ricerca dei caratteri psicologici prevalesse una certa aura cerimoniale”; e cos purtroppo è stata presentata l’opera, appesantita, inoltre, da un gioco serrato di entrate e di uscite, che per nulla ha allontanato lo spettro della staticit , che invece, ha trionfato, purtroppo. L’ambientazione è tutt’altro che romana: è, piuttosto, vagamente settecentesca, anche se non si comprendono le ragioni di questa scelta. La decisione del regista- ottima, in verit – di presentare il gesto di clemenza dell’imperatore come un “obiettivo difficile e doloroso da raggiungere” è stata vanificata da una presenza scenica e da una vocalit  del protagonista davvero poco convincenti. Se si aggiungono l’essenzialit  povera delle scene di Margherita Palli e i costumi, belli, ma terribilmente fuori luogo (anche se sarebbe meglio dire “fuori tempo”) malgrado l’indiscutibile originalit  del tratto di Ungaro. Deludente la performance di Gregory Kunde nei panni di Tito Vespasiano; ancor più debole l’intervento di Vito Priante (Publio); di sicuro pregio la vocalit  di Teresa Romano- nei panni di Vitellia, come pure abbastanza positive sono state le prestazioni di Elena Monti (Servilia), Monica Bacelli (Sesto) e di Francesca Russo Ermolli (Annio).

Come dire? Tanto clamore…..

In foto, La clemenza di Tito

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