Ecco un nuovo racconto per la nostra rubrica “Tutti i colori del mondo” dedicata al mondo lgtb. Ne scrive Blue Angels.

Sono passati cinquant’anni dai moti  di Stonewall Inn. Lo slogan era We are everywhere!Noi siamo ovunque!
Il circolo di cultura  omosessuale Antinoo (Arci gay Napoli) propone una interessante iniziativa per ricordare mezzo secolo di lotta degli attivisti alla conquista dei diritti civili.
Venerdì 17 maggio, alle 17,  nella casina Pompeiana- di Napoli (in villa Comunale) con la partecipazione straordinaria di Kurt Kelly, proprietario  del bar The Stonewall Inn e del veterano dei moti del 69, Tree Sequoia, sarà inaugurata la mostra Stonewall. The Temple di Vito Fusco, con la presentazione del libro catalogo sul tena consigliato alle nuove generazioni che non hanno vissuto gli anni delle leggendarie lotte per i diritti.

Esponenti del movimento lgbt davanti al locale
Esponenti del movimento lgbt davanti al locale

Negli Stati Uniti gli anni ’60 rappresentano un periodo di grandi evoluzioni. Ci sono gli hippies  con la loro rivoluzione sessuale, i movimenti studenteschi e di piazza per i diritti civili interrazziali, affiancati dall’affermazione del femminismo e delle droghe come fenomeno sociale. e poi si registrano eventi traumatici come la guerra in Vietnam, gli omicidi politici dei Kennedy e di Martin Luther King, fino ad arrivare al raggiungimento di un’uguaglianza tra donne nere e bianche. E si aprono anche nuove e inesplorate possibilità nel campo del lavoro e dell’istruzione con un conseguente miglioramento delle condizioni di vita.
Alla fine del decennio, dunque, nel 1969, su verifica un grande evento di ribellione da parte di un gruppo di omosessuali che  affronta la polizia newyorchese. Il primo scontro avviene la notte tra il 27 e 28 giugno poco dopo l’una e 20. quando i poliziotti irrompono nello Stonewall Inn, un bar per gay in Christopher street, al  Greenwich Village, quartiere del distretto di Manhattan.
Sylvia Rae Rivera nasce nella Grande Mela il 2 luglio 1951. Viene ricordata per essere stata la prima ad aver lanciato una bottiglia contro i poliziotti che avevano già fatto numerose volte irruzione nel locale, diventando così una icona e attivista dei diritti lgtb.
Nel febbraio 1970 si unisce alla Gay activits alliance. Nello stesso anno,  fonda, insieme a Marsha P. Johnson, lo Star (Street transvestite action revolutionaries). È morta a 50 anni, il 19 febbraio 2002, al St. Vincent’s Manhattan Hospital di New York, per un tumore al fegato. Nel 2005, durante il transgender day of remebrance,  New York le ha dedicato una strada. L’evento dello Stonewall Inn viene considerato generalmente e simbolicamente il momento di nascita del movimento di liberazione gay moderno in tutto il mondo.
Per questo motivo il 28 giugno è stato scelto dal movimento lgbt  come data del Gay Pride. E simbolo dei moti diventa proprio la donna transessuale Sylvia Rivera.
Da giorni il bar era sotto il mirino della polizia, all’ordine del giorno le incursioni. Ma, per le rimostranze del primo movimento omofilo, Mattachine, era cambiata la consuetudine. La polizia stava in strada anche per incastrare i gay e accusarli di atteggiamenti osceni ( “entrapment”  era la pratica dell’adescamento da parte della polizia, con lo scopo di arrestare, pratica in uso in vari paesi del mondo).

Qui sopra, manifestazione dopo i moti dello Stonewall
Qui sopra, manifestazione dopo i moti dello Stonewall

Precedentemente John Lindsay, esponente del Partito repubblicano, era stato eletto sindaco di New York con una piattaforma riformatrice; Dick Leitsch era diventato presidente della  Mattachine society, nello stesso periodo; Leitsch era considerato relativamente militante rispetto ai suoi predecessori, e credeva nelle tecniche di azione diretta comunemente usate da altri gruppi per i diritti civili.
 Ma torniamo a Stonewall Inn. Erano momenti di grande omofobia, la polizia usava tutti i motivi che riusciva a escogitare per giustificare un arresto con accuse di “indecenza”, tra cui baciarsi, tenersi per mano, indossare abiti del sesso opposto o anche il semplice essersi trovati nel bar al momento dell’irruzione.
Tuttavia, a favore dei gestori dei bar gay – che venivano spesso minacciati con il ritiro della licenza- sentenze giudiziarie dichiaravano che erano richieste “prove sostanziali” cosi anche gli avventori, un poco stimolati dalle sentenze ma anche perché esasperati , quella sera si ribellaronono a questo stato di cose accendendo nella loro mente parole come “diritti” “dignità” “parità”.
Le versioni della famigerata retata furono più di una. Dalla bottiglia lanciata da Sylvia, alla donna lesbica, trascinata verso un’auto, al  cantante Dave Van Ronk, afferrato dalla polizia, trascinato nel bar e picchiato.
La versione ufficiale: Approssimativamente all’una e 20 di notte, molto più tardi del solito, otto ufficiali del primo distretto, dei quali solo uno era in uniforme, entrarono nel bar. Gran parte degli avventori fu in grado di sfuggire all’arresto, poiché gli unici arrestati furono “coloro i quali si trovavano privi di documenti di identità,  o vestiti con abiti del sesso opposto, e alcuni o tutti i dipendenti del bar. 
I giorni seguenti furono di vera e propria guerriglia. Venne inviata una squadra  anti-sommossa, che quando arrivò si trovò davanti  fila di drag queens che le prendeva in giro cantando: We are the Stonewall girls/We wear our hair in curls/We wear no underwear/We show our pubic hair/We wear our dungarees/Above our nelly knees. Siamo le ragazze dello Stonewall/abbiamo i capelli a boccoli/non indossiamo mutande/mostriamo il pelo pubico/e portiamo i nostri jeans/sopra i nostri ginocchi da checche!
Vennero arrestate tante persone, mentre venivano distribuiti volantini con la scritta   Via la mafia e gli sbirri dai bar gay. E alla fine di luglio a New York si formò il Gay liberation front (Glf) che alla fine dell’anno comparve in città e università di tutti gli Stati Uniti. Da quel momento si formarono tantissime organizzazioni omosessuali in vari paesi. E oggi, in quella data, si festeggia il Gay Pride in tutto il mondo. Per celebrare la rivolta contro la discriminazione sessuale.

 

 

 

 Qui sopra, i disegni dei detenuti del carcere di Poggioreale

Tutti i colori del mondo/I detenuti si raccontano al di là del muro. E scrivono automaticamente tutti i loro umori possibili
di PASQUALE FERRO

PRIMA PARTE
Da oggi iniziamo una nuova rubrica, Tutti i colori del mondo. In questo percorso ci interesseremo delle problematiche del mondo Lgbt (lesbiche gay bisex trans, un mondo che dopo anni di lotte, grazie a attivisti storici, ha trovato maggiore visibilità da parte dei mass media e della popolazione napoletana, che storicamente ha sempre accolto la figura del “femminello” figura che era (ed è) parte integrante della sirena Partenope, figura mitologica, metà umana e metà marina.
Parleremo della storicità di Arcigay e  di tutti i personaggi che hanno lottato per i diritti mettendoci la faccia, lottando per divulgare una cultura che è sempre esistita fin dalla notte dei tempi. Ma per nostra scelta inizieremo dall’attualità scrivendo e descrivendo il mondo carcerario omosessuale.
Al di là del muro è un progetto di Arcigay Antinoo Napoli che coinvolge Blu Angels Associazione Arco (associazione ricreativa circoli omosessuali). L’iniziativa nasce per dare una assistenza ai detenuti (reparto omosex) della casa circondariale di Poggioreale, creando un corso di scrittura automatica, letteratura, teatro, disegno, ma sostanzialmente un supporto morale e psicologico per chi vive dietro le sbarre, costretto a una convivenza forzata non sempre facile, gli odori, gli umori si mescolano, scontrano, tra di loro.
Allora tutto diventa insostenibile, a volta basta una parola e scatta la difesa, a volte vorresti stare solo con i tuoi pensieri, mentre invece il tuo compagno di cella ha bisogno di parlare, t’innervosisci,  vorresti stare da solo, ma lo sei già in mezzo a persone sconosciute che diventeranno i tuoi compagni di pena, devi abituarti e accettare questa condizione, stare in una cella con persone che magari non condividono il tuo pensiero è difficile, poi l’essere umano a mille sfaccettature, ti ritrovi con persone diverse culturalmente, chi è troppo abituato a lavarsi, magari chi non lo è, oppure altre etnie con la loro cultura il loro credo, i modi di fare di dire di agire.
Diventa tutto complicato. Ci hanno detto: Quando facciamo i colloqui veniamo messi in disparte, gli altri detenuti ci guardano ironici ci “sfottono” veniamo derisi mentre aspettiamo per ore le nostre famiglie che vengono a trovarci… a volte non scendiamo nemmeno al “passeggio” per non essere guardati come fenomeni da baraccone.
Arcigay si è rivolta al referente del progetto, che subito ha provveduto per risolvere questo stato di cose, perché vivere la carcerazione pagando per i reati commessi ci sembra una cosa giusta, ma la dignità dell’essere umano va tutelata e rispettata, gli operatori di Arcigay e Arco, cercano di stemeprare la tensione con i loro strumenti culturali (ma soprattutto umani), anche grazie a colloqui individuali portando un po’ sollievo.
Le tematiche affrontate sono tante, si discute di HIV, di prevenzione, della storicità dei movimenti omosessuali e delle problematiche attuali, di quello che succede fuori dal carcere, di letteratura (i libri sono forniti gratuitamente dalle due associazioni, come pure il materiale didattico… penne, colori, block notes, è altro). Disegnano, fanno lavoretti, scrivono…
«Tutti mi consigliavano di rompere con questa donna: Lasciala stare, questa ti porterà su una cattiva strada mi dicevano gli amici che mi volevano bene. E anche la famiglia insisteva: ti porterà alla rovina, non vedi come ti sei ridotto? Ma io non ascoltavo, la volevo pur capendo che mi faceva solo del male, intanto tutti mi avevano abbandonato, non volevano assistere alla mia distruzione causata da una maledizione che mi aveva portato sulla via della malavita. Era costosa mantenerla, e questo mi spingeva a commettere reati, che con il passare del tempo, mi hanno portato in queste mura… scusate dimenticavo di dirvi il nome di questa donna.. eroina, la droga».
Questa è una delle tante accorate lettere
 dei detenuti. Scritta da un ragazzo sensibile che parla ben tre lingue, un ragazzo che chiede aiuto con gli occhi. Paradossalmente il temine eroina ci potrebbe riportare a storiche donne che sono diventate famose per i loro atti eroici, invece è una parola che fa paura, terrore, un grave problema che oggi è ritornato più presente degli anni che furono, una vera e propria peste bubbonica che coinvolge non solo la persona che si perde in un mondo alienante e distruttivo, ma anche le povere famiglie e amici costretti ad assistere a questo incubo, impotenti, pregando tutti i santi del mondo per salvare la persona amata.
Nella foto in alto, un arcobaleno, noto simbolo del movimento di liberazione omosessuale. Nelle altre immagini, disegni e oggetti realizzati dai detenuti
(1.continua)

SECONDA PARTE

Tante le lettere. Come abbiamo raccontato nella prima parte di questa nuova rubrica dedicata allle problematiche del mondo lgbt. Eccone un’altra. «Buongiorno a tutti, sono qui a raccontarvi che grazie alla mia carcerazione, sono uscita da un tunnel che non aveva nessun uscita la tossicodipendenza. Grazie a queste quattro mura ho ripreso la mia vita in mano. Mi sto anche realizzando per diventare trans, un sogno che avevo da bambina, sogno che avevo accantonato per colpa della mia tossicodipendenza. Ma il regalo più bello di Poggioreale è che ho incontrato l’amore, un ragazzo d’oro, premuroso che sempre mi è stato vicino, abbiamo una progettualità di vita futura. Insomma, in un posto triste come questo sono una persona rinata, ma soprattutto ho ritrovato me stessa».cuoricini-detenuti
Un augurio per te, cara amica. Purtroppo un’altra lettera che ci parla di droga. «Sono nato in Romania, adottato da una famiglia italiana, due persone speciali e perbene, mi hanno sempre seguito e dato buoni consigli per affrontare questa vita, consigli che mai ho ascoltato, per questo motivo mi trovo in questo posto. Sono stati i miei genitori che mi hanno denunciato, facendomi capire ancora una volta che non serve buttarsi nella droga, ti porta solo alla distruzione della vita, facendo soffrire te stesso e tutto il nucleo famigliare. La vita è una sola, si deve saper sfruttare al meglio ogni momento. Da piccolino ho sempre dato filo da torcere a questa brava gente dei miei genitori, adesso sono qua, e mi sono ripromesso che quando esco bacerò i piedi a mia madre e a mio padre per tutto quello che hanno fatto per me, e che stanno continuando a fare. Debbono campare cent’anni, sarò io ad accudire loro per ripagarli di tutto quello che stanno facendo per me, mentre io li ho ripagato loro entrando qua dentro».
Possiamo solo immaginare il dolore di un genitore nel denunciare il proprio figlio, la forza il coraggio che queste persone hanno avuto nel fare questo gesto. Fortunatamente, questo ragazzo ha compreso questo dolore, ripromettendosi di riscattarsi e di seguire una retta via fatta di buoni propositi, auguri.
Altre storie si intrecciano tra loro: sogni, riscatto, giuramenti, reintegrazione nella società e nel lavoro. Spesso ti confidano le loro vite:  «Non capisco la mia famiglia, quando è venuta a conoscenza della mia omosessualità la loro reazione è stata: “Se ti togli la barba, fai piccoli interventi al viso, diventi femminile sarà più facile per noi accettarti”. Ma io mi sento un uomo perché dovrei diventare femminile di aspetto? Beh, quando uscirò se ne parla, adesso è inutile pensarci, voglio solo sognare a riprendere la mia vita in mano».
Scioccante dichiarazione,  ci sembra una violenza psicofisica, una violenza inutile.  In un altro padiglione che accoglie le donne trans, una operatrice racconta di una detenuta che si confida con lei. «Diventa tutto traumatizzante, già dal primo giorno che affronti la matricola, devi denudarti davanti ad agenti che vanno rispettati, fanno il loro lavoro, però sono uomini. E, sempre nuda, devi fare flessioni e altro, mentre si rivolgono a te  parlandoti al maschile, una violenza psicologica: si mette in discussione il tuo essere femminile, facendoti pensare al maschile, umiliata giorno per giorno nell’anima. La vita carceraria è sicuramente brutta per tutti,  ma quella di una transessuale, oggi come ieri, è strettamente limitata, non dico di  ricevere privilegi, ma almeno essere rispettata come donna, anche se poi nuda viene rivelata la mia parte di essere maschile, una parte che rifiuti già da bambina, e loro sono costretti a sbatterti in faccia una realtà che non vuoi , allora tutto il tuo essere viene rimesso in discussione senza se e senza ma… sei un maschio? No. Sono una donna con un piccolo difetto genetico, per questo rivendico la mia femminilità- che va rispettata anche all’interno di un carcere».
 Forse ci vorrebbe una informazione più concreta, sicuramente i signori che lavorano nel carcere lo fanno senza nessuna cattiveria, semplicemente ignorano terminologie del mondo delle donne trans che è un pianeta poco conosciuto. I “maschi” non riescono a capire quanta sofferenza esiste in esseri che per il loro stato devono per forza di cose rinnegare una parte del diritto alla vera loro sessualità, un poco di delicatezza nell’espressione non farebbe male a nessuno, loro non vogliono essere accettate, ma rispettate.
Rispetto, una parola che diventa importante, specialmente in un luogo di sofferenza, dove anche le regole diventano difficili. Ancora proponiamo una lettera di un ragazzo introverso chiuso nel suo mondo, che scrive rivolgendosi a un suo diario.
«Caro diario, meglio carissimo amico mio paziente che sopporti tutti i miei malumori, solo con te posso aprire il mio cuore, raccontarti le mie ansie e preoccupazioni che sono rivolte innanzitutto alla mia famiglia che soffre  per la mia detenzione, che posso fare? Ho sbagliato e sto pagando.
Da oltre due anni sono chiuso in queste mura, non aspetto altro di uscire per dimostrare ai miei cari il mio cambiamento, la voglia di libertà è inimmaginabile, voglio ritornare nella mia casa, condurre una vita semplice, non commettere mai più errori, i giorni di detenzione sono lunghi, troppo simili a quelli passati e a quelli futuri, sembra che il tempo non passa mai.
Per fortuna, ho incontrato una persona all’interno del carcere, io ho un carattere iroso, ma questa persona riesce sempre a far calmare i miei scatti, con la sua dolcezza, mi calma, mi rasserena, così sono più tranquillo.
Caro diario, scusa se confido a te i miei tristi pensieri, scusa se ti ho annoiato, grazie di tutto».
                                                                                                           (2.fine)

Aprile 2019

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