Qui sopra, Christian Sanna. In alto, Foto di Salvatore Monetti da Pixabay 

“5 domande per Napoli”“. Proseguiamo con la nostra rubrica di approfondimento politico. Obiettivo: determinare un quadro di idee, analisi, contributi, dubbi, proposte, di autorevoli commentatori in uno spirito di coraggio, umiltà e compartecipazione, a servizio della città a venire. Ne parliamo con Christian Sanna, sociologo, vice presidente associazione culturale La Madia dell’Arte.

1)Napoli è tra più fuochi: un avamposto contro l’autonomia differenziata avanzata dalle Regioni del Nord, una città alla ricerca di un’identità perduta tra le tante “anime” del Mezzogiorno ed un capoluogo che non accetta fino in fondo la sfida nell’ambito dei paesi del Mediterraneo. Avere un’idea di città significa avere un’idea di futuro. Quale la tua?

«Thomas Alva Edison sosteneva che “il valore di un’idea sta nel metterla in pratica” e credo che si possa essere d’accordo, se non totalmente almeno parzialmente, in quanto avere delle idee in un momento storico come questo rappresenta già un valore.
La sensazione che percepisco nel leggere i giornali e nel guardare la televisione è quella inquietante e quindi spiacevole di una totale mancanza di buone idee. Perché sia chiaro: non basta avere un’idea. Deve essere giusta e vincente.
C’è un’incapacità abbastanza diffusa, in politica e in altri settori quali l’imprenditoria o il mondo della cultura, di avere una visione delle cose. Una visione che rispetti i parametri della profondità, ma anche dell’ampiezza; è come se mancasse la progettualità e quindi si navigasse a vista con tutte le incertezze e le imprecisioni che comporta una navigazione del genere.
Si finisce così nell’inesorabile vivacchiare che non offre garanzie di futuro o meglio di un futuro roseo, perché con gli attuali chiari di luna un futuro è comunque assicurato: mediocre, ma pur sempre un futuro. Tu credi che siano tante le persone che abbiano un’idea di città? Mi piace mettere in discussione questa cosa: io penso che molti parlino di argomenti di cui sanno ben poco, la sensazione immediata che ricevo, nel sentire le argomentazioni di diversi politici, è quella di un totale distacco dalla realtà.
La politica è una cosa seria e ci vuole gente preparata che conosca profondamente le situazioni e che curi i dettagli. Il politico deve incontrare la gente, soprattutto fuori dal periodo elettorale, ne deve ascoltare i bisogni e se vuole mostrarsi credibile deve essere concreto, portare le soluzioni. Risolvere i problemi, non complicare cose già difficili o addirittura semplici. Bisogna avere le idee chiare e aggiungo anche i sentimenti chiari, perché a Napoli le cose possono funzionare solo se all’idea vincente ci abbini il sentimento.
Per avere un’idea di città e in questo caso di Napoli bisogna prendere i libri e studiare, conoscerne la storia. Bisogna stare in mezzo alla gente, ascoltare le esigenze.
Napoli è complessa, talvolta si specchia un po’ troppo nella sua unicità. Consapevole di essere bella tende a cullarsi sulla propria nobiltà storica, culturale, paesaggistica, gastronomica. Napoli è una lacrima che scende sul sorriso più bello del mondo, rappresenta la melodia dei contrasti, il sacro e il profano, la ferita e la guarigione.
Città materna e quindi accogliente, esempio di integrazione culturale. Goethe che era innamorato della nostra città diceva ” Da quanto si dica, si narri, o si dipinga, Napoli supera tutto: la riva, la baia, il golfo, il Vesuvio, la città, le vicine campagne, i castelli, le passeggiate… Io scuso tutti coloro ai quali la vista di Napoli fa perdere i sensi!”.
Da qui dobbiamo ripartire e cioè dalla consapevolezza di una città che l’uomo non ha dovuto abbellire o costruire, perché ci aveva già pensato Dio a disegnarla perfettamente.
Ognuno di noi deve essere all’altezza di Napoli e della sua bellezza e fare la propria parte con proposte che mirino alla valorizzazione delle eccellenze del luogo: il turismo, la tradizione culinaria, la cultura. E chi è al potere deve capire che l’economia deve ripartire dal Mezzogiorno, bisogna ritornare ad investire al sud. Se ci sarà questo cambio di marcia e si tornerà ad investire a Napoli, in Campania e al meridione il futuro sarà roseo, anzi azzurro».

2)L’esigenza di una piattaforma programmatica propositiva, di medio-lungo periodo, non necessariamente in contrapposizione alle città del Nord, è più che una necessità per Napoli e per il Sud. Questa scelta impone un dialogo pressante con i Governi, qualsiasi essi siano, per un capoluogo che conti e non solo racconti. Il dialogo istituzionale è positivo sempre e comunque oppure deve passare prima per una rottura traumatica, viste le tante “sottrazioni” a cui gli esecutivi nazionali ci hanno tristemente abituati?

«Ho aderito al Movimento 24 Agosto per l’Equità Territoriale perché mi piace il termine Equità e perché c’è una una stanchezza dell’intelligenza che a un certo punto emerge e ti motiva se non a cercare di capire, almeno a farti delle domande riguardo il grande divario economico che c’è fra il Nord e il Sud, a sfavore di quest’ultimo che è ridotto a recitare il ruolo della Cenerentola D’Italia. 
Il Mezzogiorno è un valore con un potenziale enorme, non è la succursale di nessuno e deve recitare un ruolo centrale nella ripresa del Paese. Il Movimento 24 Agosto per l’Equità Territoriale si propone un obiettivo chiarissimo: bisogna dare a tutti le stesse possibilità e gli stessi mezzi e risorse per sviluppare le proprie capacità.
La Campania e le altre regioni meridionali devono essere messe nelle condizioni economiche per poter esprimere tutto il potenziale. Io sono sempre a favore del dialogo, perché mi reputo un uomo di buon senso e purché l’interlocutore sia all’altezza di capire, di trovare una sintesi che non scontenti nessuno.
Nel caso in cui il dialogo risultasse inefficace (cosa purtroppo non improbabile) sarebbe logica una “rottura traumatica”, un moto d’orgoglio. Una rivoluzione pacifica, culturale basata sui contenuti e mai sulla violenza che è solo distruttiva e non porta a nulla di buono se non alla creazione di disagi che vanno a sommarsi ad altri disagi. “Le battaglie” si devono fare sulle idee, sulle proposte. Se riuscissimo a trovare questo slancio si potrebbero aprire scenari interessanti».

3)Le categorie sociali ed economiche di Napoli molto spesso disegnano “separatamente” il destino dei cittadini, ognuno con la presunzione della conoscenza che diventa verità assoluta e non riproducibile da tutti gli altri. Il dialogo, la sintesi, una comunità di interessi, tra i soggetti sociali della nostra città sono possibili o ci dobbiamo rassegnare per sempre?

«Partendo dal concetto che Napoli è città particolare con un suo dna emotivo ed artistico e che quindi va trattata diversamente dalle altre, nel senso che la città sembra chiederti un requisito preciso per darsi: l’empatia.
Il napoletano è filosofo e attore che recita come se stesso, quindi la sua verità e questa verità è raccontata con una tale enfasi da sembrare assoluta, quindi ci proietta dinanzi a qualcosa di unico.
Città duale, nel senso che vive di contrasti quali ricchezza/povertà, istruzione/ignoranza, bellezza/degrado e premesso che in ogni grande città ci sono questi contrasti, fa specie avere la percezione che quando si parla di Napoli venga messo un accento in più sopra questi aspetti.
Ma qui dovremmo parlare della comunicazione e ci sarebbe tanto da dire: non è vittimismo, cosa che fra l’altro non rientra nelle mie caratteristiche, ma un dato oggettivo.
Quando a Napoli succede qualcosa di negativo la notizia viene enfatizzata e il messaggio che riceve chi non l’ha mai visitata è che sia una città sporca e violenta. Tranquillizziamo tutti: Napoli è sicura e pericolosa come tutte le grandi città italiane ed europee, non è sporca ma accogliente, non è lamentosa ma ironica, non è colorita ma colorata, perchè  quando cantava Napule è mille culure, Pino Daniele diceva una grande verità.
Rassegnazione? Ma scherziamo! Allora smontiamo il cielo, tiriamo giù le stelle e spegniamo il sole. Dobbiamo rimboccarci tutti le maniche, amare e rispettare di più il luogo in cui viviamo; il dialogo, la sintesi fra i soggetti sociali non solo sono possibili, ma indispensabili. Il dialogo deve essere aperto e costruttivo, avulso da egoismi e risentimenti, concentrato sulle buone proposte e finalizzato al miglioramento della qualità della vita.
Io voglio vivere in una città viva, dove si sta bene e non manca niente, dove ci si sente pienamente cittadini, perché neanche questo è scontato: vai in giro a chiedere alla gente cos’è la cittadinanza e se c’è la consapevolezza d’essere cittadini».

4) Dopo il Covid– 19 è cambiato il mondo e le città non potranno restare a guardare. Secondo te, Napoli in quale miglior modo può reagire, quale terreno deve principalmente recuperare per non “perdersi” definitivamente?

«Napoli non deve tradire se stessa, non deve snaturarsi. Deve strutturarsi, potenziarsi, completarsi. Migliorasi conservando l’immenso patrimonio storico/culturale. Napoli non ha bisogno di prendere a modello altre città, deve creare il proprio modello perché la storia ci insegna che questa città ha un dna creativo ed innovativo.
Napoli deve diventare esempio per altre città. Il mondo non cambia solo perché ci sono delle difficoltà legate a una grave emergenza sanitaria, finanziaria; il mondo cambierà nel momento in cui gli esseri umani impareranno a stare al mondo, rispettandolo e comportandosi da ospiti. Ma questo Covid 19 non è mica la fine del mondo! La storia è piena di tragedie, carestie, epidemie, crisi, guerre.
La verità è che l’uomo non ha imparato nulla, perdendo moltissime occasioni per diventare migliore. Siamo ancora in piena difficoltà e stiamo tutti un po’ sulla stessa barca e quando si sta sulla stessa barca col mare in tempesta è comune questo sentimento del volemose bene. Ne riparleremo alla fine del tunnel, il tempo è galantuomo e gli uomini sono dei contemporanei con la memoria corta».

5)La partecipazione è un elemento di valore e dovrebbe riguardare la politica, ma anche e soprattutto l’ambito sociale e culturale, ma troppo spesso evoca scenari senza sporcarsi le mani. Napoli ha bisogno di un orizzonte ma anche di certezze amministrative e comportamentali. Al futuro ci si arriva con atti concreti, costanti e duraturi. Da dove si comincia per allargare la base democratica in città? 

«Quando deludi a più riprese e soprattutto quando sei incapace di “sedurre”, quando manchi di empatia e trasmetti all’altro insicurezza e approssimazione, il rischio che la gente di te ne abbia le scatole piene è altissimo e direi anche comprensibile.
Non c’è grande partecipazione perché è mancata la credibilità; i politici sono etichettati (ingiustamente, mai fare di tutta l’erba un fascio) e la politica o almeno questa politica che litiga in un momento così complicato per il Paese, non solo non attrae più, ma indispettisce, stizza.
Ma la crisi è totale: politica, culturale, economica. Spirituale. Senza la cultura non c’è futuro e credimi ce lo stiamo giocando seriamente il futuro. Io ti dico Cultura con la lettera maiuscola come a rimarcare la grande importanza che ha nel risvegliare le coscienze. Non mi interessano quelle statistiche in cui vengono fuori dati che sono solo estetici: alla laurea ci possono arrivare tutti, basta studiare, impegnarsi. I titoli lasciano il tempo che trovano.
La cultura non è collezionare titoli e avere un curriculum di trenta pagine. Qui ci vogliono requisiti precisi: conoscenza, curiosità, vivacità intellettuale, visione, empatia, carisma, fascino, dialettica, passione. In poche parole ci vuole qualità!
Tu la conosci La Madia dell’Arte. Insieme a Massimo Capriola, Rosa Nunziante e altri, da anni cerchiamo di portare un po’ di bellezza e di cultura sul nostro territorio. Ma che fatica! La cultura ha un costo che noi sosteniamo con le nostre tasche e non merita di essere snobbata, anzi deve recuperare centralità. Questa nostra meravigliosa città deve ripartire dal suo immenso patrimonio artistico/culturale e la base democratica si comincerà ad allargare nel momento in cui a sedersi intorno a un tavolo programmatico ci sarà gente illuminata».
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