In occasione della presentazione del Volume “Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere”, nella sala Burri del Museo di Capodimonte, quest’estate, sono stati illustrati i progetti che definiscono un futuro poliedrico per il sito e una fruizione senza confini. Carmine Negro viaggia dal passato al futuro delineando, in tre parti, le prospettive di una delle pinacoteche più belle del mondo.

Ciò che è raro non è quello che piace a tutti ma piuttosto quello che tutti ignorano.
(Nicolas Landau (1889-1979) Famoso mercante d’arte)

dI CARMINE NEGRO

TERZA PARTE
È stato Giovanni Pescarmona, Digital Humanist alla Digital Library, a parlare del Piano Nazionale di digitalizzazione[1] da poco pubblicato dal Ministero della Cultura. La prima versione è stata denominata 1.0, perché il piano è un documento dinamico, che evolve con la tecnologia e risponde ai cambiamenti sociali e culturali. Un documento aperto con fasi di consultazione pubblica e vari strumenti operativi costituito da tre sezioni correlate: Visione, Strategie e Linee guida.
Finanziato con il Pnrr M1C3[2] Investimento 1.1[3] sarà una grande occasione di modernizzazione dei Musei e di digitalizzazione di tutto il patrimonio culturale. Con il sub-investimento 1.1.5[4] viene finanziata l’acquisizione digitale[5], che permette di trasformare le opere dei Musei in risorse fruibili attraverso il web. Si tratta di un investimento importante, 200.000.000 di euro per conseguire un obiettivo concordato con l’Europa: la produzione di almeno 65 milioni di nuove risorse digitali, che possono essere di libri e manoscritti, documenti e fotografie, opere d’arte e artefatti storici e archeologici, monumenti e siti archeologici, materiali audiovisivi, compresa la normalizzazione di precedenti digitalizzazioni e metadati, da rendere fruibili on line attraverso tecnologie digitali sulla Digital Library entro il 31.12.2025. Con questo investimento è rimarcata la centralità dell’infrastruttura software del Patrimonio Culturale che sarà il nuovo spazio dati della Cultura nativamente Cloud.
Le campagne di digitalizzazione che producono le risorse digitali sono il carburante che fa funzionare il motore dell’Ecosistema culturale. Nell’ambito del patrimonio culturale la digitalizzazione dei depositi ha un compito primario e come da target il 40% delle risorse da spendere sono destinate alle istituzione del mezzogiorno. Un filone d’avanguardia è data dalla digitalizzazione tridimensionale o fatta con gli strumenti bidimensionali ma ad altissima definizione; un ruolo importante è riservato alla valorizzazione delle digitalizzazioni pregresse. Capodimonte è coinvolto in tutti e tre i filoni dell’investimento: i depositi, il 3D e il pregresso. Questa progettazione si propone di far diventare il digitale uno dei pilastri su cui si poggia l’ecosistema culturale.  
Il direttore Bellenger dopo aver ricordato che nel bosco ci sono 17 edifici tutti con destinazione culturale dalla Scuola dei giardinieri a quella della ceramica, una manifattura già presente al tempo dei Borboni, introduce i relatori che parleranno del Progetto Casa Colletta.
Per Giorgio Ventre, direttore scientifico della Apple Developer Academy, finora si è parlato della digitalizzazione orientata agli oggetti ma la digitalizzazione è anche orientata alla formazione delle competenze e delle abilità dei soggetti che devono poi fare la digitalizzazione delle opere.
Nel 2019 è stato stipulato tra l’Università Federico II e il Museo e Real Bosco di Capodimonte un accordo quadro da cui sono derivati due accordi esecutivi: il primo ha dato vita alla progettazione di specifiche applicazioni nell’ecosistema IOS, portato avanti con l’Apple Academy, e il secondo una Scuola di Digitalizzazione da realizzare nella Casa Colletta, uno degli edifici del Bosco.
Il primo ha visto la partecipazione di allievi dell’Accademia Belle Arti e quelli dell’Aeronautica militare impegnati a sviluppare una ventina di applicazioni riguardanti alcuni aspetti della digitalizzazione come per esempio quello dell’accessibilità. Per rendere fruibile il patrimonio culturale a persone affette, per esempio, da ipovedenza o cecità sono stati realizzati applicativi sonori da utilizzare quando ci si avvicina ad un’opera.
Nel corso della vita le abilità cambiano e occuparsi di questi temi consente non solo di ricercare come utilizzare la tecnologia per aiutare le persone ma anche di esplorare le potenzialità che la tecnologia stessa contiene.
Nella casa Colletta, edificio a cavallo dei ponti Rossi, sarà allestito un laboratorio di didattica innovativa per la formazione di nuove professionalità. Il lavoro sarà quello di costituire dei gruppi capaci di lavorare per identificare problemi e prospettare soluzioni, definire soluzioni digitali a quelli che sono i temi del patrimonio culturale ed ambientale.
Per Pietro Nunziante, docente di Design dell’Università Federico II il digitale è una tecnologia che fa trasformazione quindi non può essere limitato solo all’aspetto, per quanto importante, della digitalizzazione degli oggetti. L’intenzione è di fare nella casa Colletta un luogo dove sperimentare tantissimi aspetti del digitale  e il Museo ed il Bosco di Capodimonte sono un terreno fertile perché ha tanti aspetti su cui indagare dall’arte alla conservazione ambientale, alla sostenibilità.

Uno scorcio del bosco e della facciata museale

Bellenger prima di passare alla successiva relatrice ritorna sul problema depositi affermando che non si può pensare che il deposito è solo un mondo che aspetta di essere svegliato: è il cuore battente della ricerca e del futuro. Il visitatore che avrà visto in rete tutte  le opere presenti nei depositi giustamente ne chiederà l’accesso, da qui la necessità di immaginare  la costruzione di un nuovo Deposito capace di interagire con il visitatore di domani. Si è in attesa del parere della Soprintendenza, i lavori per la sua realizzazione potrebbero partire da gennaio del 2023.
Per Jelena Jovanovic direttore General Magister Art, la progettazione del nuovo deposito, attualmente in fase di elaborazione e definizione si basa su tre grandi pilastri di intervento quello energetico, quello ambientale e i digitale. I servizi digitali sono immaginati per rispondere ad alcune domande, in altre parole come attrarre, accogliere, informare, orientare, educare lo sguardo, generare valore, fidelizzare.
L’immenso patrimonio dei depositi appare come un palinsesto[6] costituito da strati di identità culturali e di committenze, tema importante che stimola a chiedersi, una volta digitalizzato questo patrimonio, come sfruttarlo, dove applicarlo, a cosa deve servire e a quali domande deve rispondere.
La proposta ipotizzata è quella di restituire al museo e ai visitatori di oggi, ma soprattutto di domani, una serie di servizi digitali rappresentati da quell’insieme integrato di pratiche partecipative e sociali che rappresentano la fruizione del Museo.
Una scannerizzazione del Museo, per conoscere tutte le informazioni materiche e strutturali, ha consentito di progettare un nuovo spazio, interrato, parallelo a quello della Sala Causa con due distinti ingressi uno dalla Sala Sol LeWitt e l’altro dall’attuale Biglietteria.
Uno spazio polifunzionale arricchito da una pinacoteca digitale dove il visitatore può fruire non solo di quanto non esposto nelle collezioni permanenti ma anche di variegati laboratori pensati per rispondere a bisogni multipli e quindi essere adatti sia per gli adulti, sia per i bambini, che per le scuole. Una sala che coniuga metodologie transdisciplinari di ricerca e tecnologie innovative offerte dal mondo contemporaneo per valorizzare l’arte ed aumentarne l’accessibilità.
Uno spazio che consente di partecipare a focus su mostre temporanee, diventare piccoli curatori scegliendo un’opera con l’ausilio degli storici dell’arte, avere la possibilità di editare e comporre una mostra digitale, grazie agli esperti di post-produzione. Le soluzioni possono essere numerose ed essere in grado di generare non solo apprendimento ma anche orientamento, sperimentazione, scoperta e soprattutto implementare delle funzioni generative e/o capaci di rigenerarsi nel tempo. Le proposte saranno supportate non solo da hardware tecnologico ma anche da software e dalla creazione di contenuti digitali: drammaturgia narrativa e storytelling.
La tecnologia diventa velocemente obsoleta per questo non ci si può legare a una particolare: sarà il messaggio da veicolare a motivare la scelta della più adatta talvolta combinando l’analogico al digitale. Schermi multitasking disponibili ad altezza occhio di chi visita e fruisce per poter selezionare, da solo, tra infinite possibilità di catalogare ed interagire non solo con le opere d’arte ma anche con altri gruppi di visitatori. E ancora tavoli multitasking in grado, attraverso degli applicativi, di fare un grande percorso all’interno del museo ma anche in streaming un’attività in team da remoto. Spazi facilmente trasformabili, in occasione di mostre temporanee, grazie ad un tipo di tecnologia agile ed intelligente come i display che possono roteare a 360 gradi per far vedere il retro delle opere che raccontano storie davvero inedite.
Uno spazio che diventa una macchina scenica come quella immaginata da un grande napoletano Giovanni Battista Della Porta che nel 1584 parla di illusioni ottiche applicate al teatro: una tecnologia semplice, analogica realizzata, allora, grazie alla luce e ad una lastra di vetro.
Tra le tante possibilità che questa tecnologia può consentire c’è quella di avere una didascalia aumentata, perché l’apparato classificante didascalico non è mai sufficiente, restituire l’identità di un’unica opera d’arte disgregata tra diverse collezioni mettendo in comunicazione parti frammentate, raccontare in meno di un minuto la vita della committenza e del destino di un’opera cercando anche di ricostruire e restituire quello che era un testo sbiadito delle note musicali di un dipinto.
Infine, questa tecnologia può intervenire quando un’opera è in prestito: può assolvere ad una assenza con un’acuta presenza grazie al digitale. Tutto questo per rimanere nell’ottica di che cosa significa educare con lo sguardo.
Se si vuole lasciare un seme che germogli è necessario interfacciarsi con i giovani e rendere loro tutto accessibile per attrarli, coinvolgerli renderli responsabili e consapevoli di quello che è il loro patrimonio identitario.
Per Bellenger il futuro assegna una nuova missione al Museo che non sarà solo di tutela e gestione. Oggi non abbiamo ancora una chiara conoscenza di come sarà il Museo del futuro; queste tecnologie non sostituiscono le opere d’arte ma al contrario ci aiutano a vederle meglio e a vederle dappertutto
È stata la storica dell’arte Maria Tamajo Contarini, curatrice e Responsabile Depositi del Museo e Real Bosco di Capodimonte, co-curatrice della mostra “Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere” a chiudere gli interventi e a tratteggiare un brevissimo percorso sulla storia dei depositi di Capodimonte
Sergio Ortolani nel 1837 progetta la Pinacoteca di Napoli nel  Museo Nazionale pochi anni dopo la Conferenza di Madrid del 1834 in cui si discute su come introdurre una nuova tecnologia, l’energia elettrica, nei Musei e per la prima volta si parla di depositi. In una Napoli all’avanguardia Ortolani segue tutte le classificazioni delle opere perchè sono tante e vanno classificate e differenziate.
Nel 1939 Molajoli viene nominato soprintendente della Campania e si rende conto del grandissimo numero di opere. Nel 1946 i duchi d’Aosta lasciano Capodimonte e nel 1947 sono restituite a Napoli le opere trafugate dai tedeschi (Tiziano , Parmigianino …)
Nel 1949 il ministro Gonella del terzo governo De Gasperi emana un decreto di costituzione della Pinacoteca Nazionale di Capodimonte. Già il termine indica che in quel momento si dava priorità a quella che era l’esposizione dei dipinti mettendo in secondo piano quella che era la storia della Reggia che era stata anche residenza prima borbonica e poi Savoia con una raccolta di opere non solo acquistate dai reali ma anche testimonianza della vita di corte. 
Nel 1952 iniziano i lavori per il Museo di Capodimonte il Soprintendente Bruno Molajoli, assistito dall’architetto Ezio Bruno De Felice è coadiuvato da Raffaello Causa e Ferdinando Bologna.
Nel 1957 c’è l’apertura di Capodimonte e la realizzazione un deposito con quel rivoluzionario sistema a griglie scorrevoli inventato da Molajoli. Già allora i depositi, inizialmente dedicati solo ai dipinti, erano insufficienti; successivamente ne sono stati ricavati altri nel museo per gli oggetti di arti applicate e le sculture, dividendoli per categorie.
Nel 1980 Capodimonte è stato utilizzato come un grande deposito perché è diventato un centro di raccolta tutte le opere ritirate  per il terremoto oltre a custodire la collezione del Banco di Napoli e quella dell’Accademia prima che aprisse la Galleria.  
Nel 2010 delle 326 sculture 80 erano esposte e 246 erano nei depositi attualmente la situazione è invertita con 200 esposte e 80 nei depositi grazie alla gestione di questi ultimi anni. Attualmente ci sono sette depositi con la nuova struttura progettata finalmente si potrà avere un unico contenitore che sarà il deposito di Capodimonte.

***
Mentre ascoltavo gli interventi e mi sforzavo di comprendere le ipotesi degli esperti sui meccanismi che regolano le trasformazioni che interesseranno le future generazioni mi ponevo delle domande in merito al ruolo che ciascuno di noi ha nel processo che porta a disegnare il futuro in questo settore ma anche in tutti gli altri che interessano la società.
Per progettare un intervento, elaborare un piano o un programma così importante è necessario potenziare i processi e gli strumenti partecipativi: un compito ed un dovere per tutti noi.
Per partecipare al processo che ridisegna il futuro, condividere le tappe, evitare di assistere come soggetti passivi o peggio subire è necessario riscoprire l’esperienza sensibile della conoscenza. Attualmente facciamo fatica ad intercettare e a padroneggiare il ricco flusso di informazioni che ci investono; sembra quasi che la tecnologia, che pure ci accompagna e aiuta quotidianamente, ci abbia abituati alla pratica della delega facendoci spesso perdere il desiderio di Percepire, Pensare e Volere.

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(3. fine. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 5 e il 12 settembre)

NOTE

[1]https://partecipa.gov.it/uploads/decidim/attachment/file/63/M1C3_1.1.1_0_Piano_Nazionale_Digitalizzazione_Consultazione.pdf

[2] Missione 1 (M1)  Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo Componente 3 (C3) Turismo e cultura 4.0

[3] Strategia digitale e piattaforme per il patrimonio culturale

[4] Digitalizzazione del Patrimonio Culturale

[5] Acquisizione digitale è la conversione digitale di un oggetto analogico.

[6] Palinsèsto più raro palimpsèsto dal lat. palimpsestus, gr. παλίμψηστος «raschiato di nuovo». – Si tratta di un manoscritto antico, su papiro o, più frequentemente, su pergamena, il cui testo originario è stato cancellato mediante lavaggio e raschiatura e sostituito con altro disposto nello stesso senso, in genere nelle interlinee del primo, o in senso trasversale al primo; tale consuetudine diffusasi soprattutto nel Medioevo per la rarità della pergamena è stata causa della perdita di grandi opere antiche. Nell’età moderna la lettura, almeno parziale, della scrittura sottostante dei palinsesti è stata resa possibile prima con i reagenti chimici, e oggi dal ricorso ai raggi ultravioletti.


SECONDA PARTE
Il futuro è digitale: ma già ora si possono visitare Parco e Museo dalla piattaforma Google Art Culture
12 settembre

La Sala Burri, gremita per la conferenza stampa, è dominata dalle spaccature che ricoprono la superficie lucida e nera del Grande Cretto Nero, opera espressamente realizzata da Alberto Burri nel 1978 per il Museo di Capodimonte. La monumentale scultura, in dialogo con le opere antiche sembra sottolineare la materia, elemento primordiale capace di disegnare lo spazio e segnare il tempo.
Il volume, per il direttore Bellenger, non è un catalogo come gli altri, contiene gli atti del convegno, che ha chiuso la mostra con tante proposte di analisi e di ricerca, e soprattutto contiene una sezione sul digitale[1], una rivoluzione del linguaggio che cambia il modo di pensare e trasforma il rapporto con il mondo e con gli altri. Nell’introdurre l’incontro ha ricordato che in 7 anni ci sono state 30 mostre e che ognuna aveva uno scopo preciso: far conoscere e approfondire una tematica.  
Alcune come quelle monografiche (Picasso, Caravaggio, Caracciolo, ecc.) hanno riguardato artisti che sono venuti o hanno avuto un rapporto importante con Napoli, altre, che hanno avvicinato un artista di arte contemporanea con un’opera delle collezioni del museo, sono state importanti per la modernizzazione del nostro sguardo sulle collezioni[2], altre[3] ancora hanno condiviso una riflessione sulla storia e su come i musei raccontano e scrivono la storia dell’arte.
Il primo merito di questa esposizione è che 150 opere, presenti nei depositi, sono state scelte e inserite nelle stanze e nelle gallerie l’altro punto fondamentale per il futuro del Museo è stato quello della digitalizzazione dei prodotti artistici e della realizzazione di fotografie ad alta definizione.
Per favorire e incentivare l’accesso a un pubblico più vasto dall’estate del 2018 c’è stata l’immissione di oltre 500 capolavori del Museo di Capodimonte sulla piattaforma dedicata Google Art Culture che consente di visitare virtualmente sia il Museo che il Parco[4].
La fotografia ad altissima definizione cambia lo sguardo  permette al visitatore di entrare nella materia e scoprire come nel Caso della Flagellazione di Cristo di Caravaggio la scoperta un filo d’oro sulla corona di spine, un’aureola di cui nessuno aveva mai parlato perché nessuno l’aveva mai vista.

Sylvan Bellenger, durante la conferenza di presentazione del catalogo


Per Carmine Romano, responsabile della digitalizzazione e direttore del Catalogo digitale del Museo e del Real Bosco di Capodimonte, i libri non sono minacciati dalla cultura digitale bensì arricchiti da questo nuovo linguaggio: l’aggiunta di un link permette di accrescere le conoscenze ed aiuta con l’ausilio del web a costruire nuove ricerche. Anzi è il libro stesso, come nel caso del volume che si sta presentando, che arricchito dal digitale lo promuove e lo diffonde.
Dopo la riforma Franceschini che operava una riunificazione amministrativa del Museo e del Bosco di Capodimonte nel Masterplan di Bellenger del 2017 il digitale veniva indicato come missione importante insieme alla tutela del patrimonio ambientale, culturale e sociale. Il Museo tra quelle esposte e quelle dei depositi conserva circa 49.000 opere che vanno dal XIII secolo all’arte contemporanea disposte in 124 sale su una superficie di 14.000 metri quadri. A queste bisogna aggiungere un bosco di 134 ettari con piante da collezione e come tali preziose.
Con i fondi del Museo e quelli pervenuti dalla Regione Campania si sta completando la digitalizzazione dell’Archivio del Bosco, dell’archivio storico del Museo e delle opere dei depositi di cui spesso non si avevano foto a colori ma solo in bianco e nero e spesso neanche quelle. Avendo digitalizzato i 120 volumi di inventari di Capodimonte è molto più facile rintracciare l’opera nel tempo e quindi creare la sua storia oltre a derivare, dalla sua descrizione, il gusto del momento in cui è stata registrata.
I lavori di ristrutturazione della Reggia di questo periodo fanno riferimento proprio agli inventari in cui venivano descritti gli ambienti, i colori delle sale, i decori utilizzati per allestire le stesse. Con la digitalizzazione si relaziona anche lo stato conservativo dell’opera grazie all’intervento di restauratori e specialisti che con la fotografia registrano l’opera in ogni sua parte creando il punto zero dello stato dell’opera stessa. Digitalizzare un’opera vuol dire darle un’identità, renderla visibile e fruibile in ogni parte del mondo ed in ogni momento, realizzare un grande processo di democratizzazione.
Ed è sulla democratizzazione dello sguardo che interviene di nuovo il direttore Sylvain Bellenger quando ricorda che con la fotografia in bianco e nero la proprietà intellettuale dell’opera era proprio del Museo: quando si rende accessibile a tutti consentendo di poter vedere dettagli sconosciuti, come nel caso dell’aureola della Flagellazione di Caravaggio, la missione diventa quella di educare allo sguardo; senza questa educazione l’occhio umano è cieco. Questa democratizzazione intellettuale ha immediati effetti sulla tutela. Grazie alla tecnologia, digitalizzazione e intelligenza artificiale, è possibile comunicare, studiare e tutelare meglio l’insieme delle opere che costituiscono il patrimonio nazionale.
La digitalizzazione consente di riunire la collezione Farnese, ora dispersa tra Capodimonte, Palazzo Reale, la Biblioteca Nazionale, il Mann e Caserta, che ritrova una sua coerenza e permette di comprendere esattamente la sua forza e la  sua ricchezza: ha fatto del Regno di Napoli uno dei Regni artistici del Settecento.
Nel suo intervento Patrizia Boldoni, consigliera per la Cultura del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, dopo aver rimarcato che con la digitalizzazione si allarga la base di fruizione perché tutti, attraverso un computer, potranno vedere conoscere e partecipare ringrazia il direttore perchè a lui si deve lo svelamento dei depositi in termini linguistici e contenutistici.
Dal deposito vengono fuori i tesori quando i tempi sono maturi per accoglierli. Lo ringrazia anche per aver arricchito e reso accogliente il bosco piantando centinaia di alberi. Concorda che il volume non è un semplice catalogo ma un ulteriore tassello di un discorso cominciato sette anni prima.
È la storia con il suo essere fonte viva di un mare dove si bagnano  tutti: passato, presente e futuro, protagonisti e comprimari, esteti e scienziati. Non una sequenza fatta di prima e dopo ma un tempo storico in cui le connessioni si articolano e riarticolano continuamente consentendo al visitatore o al lettore di estraniarsi, di guardarsi dentro e fuori in un’avventura che è una sorpresa continua dove il lettore diventa esso stesso deposito assorbendo emozioni e sensazioni che possono rimanere occultate, non perché inferiori a quelle manifeste ma perché sono delle riserve, come dice Sylvain, pronte per domani quando la marea della storia le libererà, quando il loro tempo storico sarà finalmente maturato.
 Rosanna Romano, direttore generale per le politiche culturali e il Turismo della Regione Campania  illustra l’Ecosistema digitale per la cultura, la piattaforma concepita dalla Regione Campania per fornire informazioni, tour virtuali, schede catalografiche, esperienze immersive ed altri servizi multimediali legati alle attività ed ai beni culturali presenti sul territorio regionale.
Nel 2017 ci sono stati degli incontri con tutti i direttori di Musei e dei più importanti istituti di Cultura della Regione in cui è stato delineato un piano strategico che poi negli anni ha visto la sua realizzazione. Si tratta della realizzazione di un’unica piattaforma in cui i visitatori: operatori di imprese, studenti, archeologi, bibliotecari, storici dell’arte, ricercatori possono trovare raggruppati tutti i domini[5].
È stato calcolato che per digitalizzare quanto contenuto nella Biblioteca Nazionale ci vorrebbero 40 milioni di euro. I 30 milioni stanziati per l’intero comparto è un finanziamento importante ma insufficiente rispetto al grande patrimonio da tutelare e rendere fruibile della Regione Campania. La digitalizzazione non sostituisce ma integra e accompagna; apre una finestra sul mondo per consentire ai beni della Regione di raggiungere tutti gli angoli della Terra, permettere agli studiosi, agli artisti, ai turisti, ai visitatori di preparare il proprio viaggio, stimolare la voglia e il desiderio di conoscere toccare e vedere con i propri occhi. La digitalizzazione è un cantiere e come quelli strutturali prevede investimenti, strutture, tecnologie. L’impiego di fondi in questo settore è un investimento vero perché produce valore economico.

I partecipanti della tavola rotonda, ciascuna/o con una copia del volume

Massimo Osanna, direttore generale dei Musei, ricorda che appena arrivato a Pompei era rimasto scioccato dalla situazione dei depositi senza climatizzazione e spesso senza inventario per cui ha lavorato molto con il suo team per dare dignità a quel patrimonio sommerso. Ancora oggi quando si reca in un Museo chiede di visitare i depositi: da questi sopralluoghi è nata la necessità di un censimento. Dei 480 luoghi della Cultura nazionale a fonte di circa 480.000 reperti esposti ce ne sono 4.500.000 nei depositi. Un rapporto impressionante che non si può affrontare con delle operazioni saltuarie ma necessita di un approccio sistemico.
Quello di Capodimonte è un approccio che affronta con una visione sistemica il problema. Consapevoli di questa necessità sono stati programmati una serie di progetti come quello voluto da Franceschini, 100 opere tornano a casa[6], con 100 come numero simbolico, in cui le opere dei depositi che hanno rapporti con i territori sono date in prestito ai piccoli Musei che insistono su quei territori. Ricorda nella sua recente visita a Matera le opere di Capodimonte[7] esposte nel palazzo Lanfranco.
Le risorse del pmrr sono importanti, continua Massimo Osanna, ma insufficienti per la digitalizzazione di 4.500.000 di opere presenti nei depositi, opere sommerse da cui bisogna partire perchè invisibili, talvolta anche ai curatori, e molto spesso inaccessibili.
La direzione generale dei Musei monitora la situazione dei depositi selezionando progetti significativi, come quello di Capodimonte, per una conoscenza che deve essere prodromica alla trasformazione dei Musei da luoghi sconosciuti, polverosi e bui a luoghi del sapere: biblioteche di oggetti. Per contrastare l’inaccessibilità, il pnrr destina risorse significative a progetti capaci di rendere visibile l’invisibile e consentire a tutti, anche ai portatori di disabilità, di poter fruire delle straordinarie collezioni degli Istituti di Cultura del Paese. I depositi da luoghi sepolti e inaccessibili devono diventare luoghi di fruizione per il pubblico, da restituire alle comunità: è lo sforzo titanico che si propone il sistema museale italiano.
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NOTE

[1] Carmine Capodimonte in digitale pag. 383- 427 Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere Editori Paparo 2022

[2] Questa serie di mostre era stata denominata denominate Incontri sensibili.

[3] Ci si riferisce in questo caso alle mostre: Carta Bianca, Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere, Napoli Napoli. Di lava, porcellana e musica 

[4] Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere Editori Paparo 2022 pag. 381

[5] Domini presenti: bibliografico, archeologico, archivistico, cinematografico, storico-artistico, teatrale, spettacoli dal vivo, musicale e della moda

[6] Il Progetto che ha come titolo “100 opere svelate. Dai depositi ai Musei” intende promuovere il patrimonio artistico e archeologico italiano conservato nei depositi dei luoghi d’arte, mettendo in collegamento i piccoli e i grandi musei statali italiani attraverso la circolazione e lo scambio di importanti opere d’arte.

[7] Dieci capolavori fiamminghi lasceranno i depositi del Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli per andare ad arricchire le sale espositive del Museo Nazionale di Matera. Si tratta di opere di autori nordici che raffigurano i mestieri artigianali e le vedute olandesi. La selezione delle opere si è concentrata sul profondo interesse che nel tempo la Basilicata ha mostrato nei confronti della cultura fiamminga e nordica. Un interesse che si manifesta nelle committenze ad artisti fiamminghi e nelle scelte del collezionismo lucano, come documenta la raccolta di Camillo d’Errico di Palazzo Lanfranchi. Percorsi diversi che insieme costituiscono quella che è stata definita “La grande stagione fiamminga in Basilicata”, su cui negli ultimi decenni sono state organizzate mostre e giornate di studio per comprendere al meglio il legame tra la Basilicata e la cultura fiamminga.


PRIMA PARTE

Capodimonte1/ La Città Museo progetta il proprio futuro. Partendo dai tesori nei depositi

5 settembre 2022

Il Museo di Capodimonte tra il 21 dicembre 2018 ed il 15 maggio 2019[1], ha organizzato una mostra che aveva come titolo Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere in cui sono state esposte 1220 opere[2] tra dipinti, statue, arazzi, porcellane, armi e oggetti di arti decorative provenienti unicamente dai depositi di Capodimonte: Palazzotto, Deposito 131, Deposito 85, Farnesiano e GDS, il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe. Il titolo dell’esposizione, scrive Sylvain Bellenger, Direttore del Museo di Capodimonte, ci orienta immediatamente verso un’avventura sconosciuta, una mostra che mette in scena la memoria e il tempo, che rivela una storia ancora nascosta, una storia o più storie che non conosciamo, che non sono ancora state raccontate o scritte[3].
Ed è ancora Bellenger a disquisire sul tema della Storia, chiedendosi se è fatta di storie che si mescolano e si accumulano, e del suo rapporto con il racconto e la scrittura: in particolare se c’è una storia che precede la sua scrittura o se è la scrittura a fare la storia.
Di sicuro il Deposito è il luogo dove le cose sono riposte e messe in pausa, dove la sospensione del tempo coincide con quella della loro narrazione. L’immaginario collettivo non cerca nel Deposito una analisi motivata della memoria storica ma preferisce ricondurre e/o identificare lo stesso come un tesoro dimenticato.
In effetti, i Depositi dei Musei moderni non sono un insieme di tesori dimenticati o sconosciuti ma sono il risultato di una selezione fatta da Direttori e Curatori e raccontano il ruolo e la storia tra scelte imposte dai dettami del gusto, dalla natura della collezione del museo o dallo stato conservativo delle opere. In definitiva questi oggetti sono stati considerati, per vari elementi, poco importanti quando, dopo la guerra, l’Italia affidò all’arte e agli artisti il compito di definire la propria identità.
Le scelte museali hanno seguito la disciplina universitaria e questo ha comportato che le collezioni, dissociate dalla loro provenienza storica, sono state raggruppate secondo la tipologia: pittura, archeologia, manoscritti.

La Collezione Farnese fu divisa tra la Biblioteca Nazionale, che conserva i manoscritti, Capodimonte cui furono destinati dipinti, oggetti d’arte e disegni del Medioevo e del periodo moderno e il Museo Archeologico cui andarono le collezioni di archeologia romana raccolte nel XVI secolo insieme agli scavi condotti in Campania nel XVIII secolo. Questa suddivisione ha reso difficile studiare la relazione che le collega oltre che descrivere e comunicare la complessa storia della civiltà napoletana.
Nel secondo dopoguerra, con un decreto del maggio del 1949, venne sancita la definitiva destinazione della Reggia di Capodimonte a Museo e, tre anni dopo, si diede avvio al progetto di risistemazione ad opera del Soprintendente Bruno Molajoli[4] che, coadiuvato dall’architetto Ezio De Felice, lo ha diretto dal 1949 al 1959. Grande attenzione fu dedicata alla progettazione dei depositi medi e grandi del Museo di Capodimonte creati negli anni Cinquanta in seguito al progetto di risistemazione del soprintendente Molajoli.
Di particolare interesse il deposito realizzato nel sottotetto, un grande vano di 375 mq ubicato al di sopra del Salone da ballo. In esso fu installato un sistema di 60 telai mobili di dimensioni 3,30 x 3,50 m scorrevoli orizzontalmente mediante cuscinetti a sfere poggianti su apposite guide, sorrette da una struttura reticolare di ferro. Tali pareti mobili erano montate parallelamente a circa 50 cm di distanza così da ottimizzare lo spazio con un duplice beneficio: conservare un gran numero di dipinti in una piccola area e rendere gli stessi agevolmente consultabili[5].
I depositi concepiti dal Molajoli, come contrappunto alle gallerie espositive, sono stati una grande risorsa perchè hanno consentito lo sviluppo di nuove aree tematiche e i successivi arricchimenti delle collezioni. Fu Raffaello Causa Soprintendente dal 1959, due anni dopo l’inaugurazione del sito, a trasformare Capodimonte in una moderna e articolata struttura museale mentre fu Nicola Spinosa Soprintendente dal 1984 al 2009,a seguito della chiusura di Capodimonte per ristrutturazione nel 1987, ad avviare una riorganizzazione degli spazi e delle collezioni dando con i nuovi allestimenti un’identità più forte alla scuola napoletana.
La riforma Franceschini del 2014 ha riunito il sito reale, costituito dal grande bosco, dai 18 edifici storici, dalla Reggia e le sue collezioni, nella più grande sede museale italiana e denominato la nuova istituzione Museo e Real Bosco di Capodimonte.
La mostra Depositi Storie ancora da scrivere intendeva mostrare al pubblico, nelle dieci sale a disposizione, il maggior numero di opere possibili in particolare quelle poco o per nulla conosciute. Le scelte dei curatori che hanno guidato l’allestimento erano legate alla volontà di rispettare il disordine dei depositi dove i criteri erano spesso di carattere pratico e dipendenti dal materiale, dal peso e dallo spazio occupato. È questa assenza di una vera classificazione ad innalzare i depositi a una dimensione poetica, conferendo loro un’armonia musicale e misteriosa … non grammaticale o storica[6]. Una mostra quindi che si è proposta di aumentare gli spazi espositivi, ampliare l’interpretazione della collezione, delineare la storia artistica di Napoli.
Un convegno svolto a conclusione dell’esposizione ha focalizzato alcune di quelle storie che essendo state trascurate sono state trasformate o dimenticate.
È il caso della collezione di oggetti etnografici rari del Settecento. Manufatti donati al re Ferdinando IV da lord Hamilton e provenienti dalla raccolta del capitano James Cook, esploratore e cartografo della marina mercantile britannica che raggiunse zone sconosciute e pericolose tanto da morire in un violento scontro con gli indigeni delle Hawaii nel 1779.
La collezione di questi oggetti, esempio straordinario della Napoli illuminista, era riportata negli inventari come oggetti africani.  Eppure i resoconti dei tre viaggi scritti da Cook, pubblicati in numerose copie in inglese e francese, furono stampati a Napoli dalla casa editrice La Nuova Società Letteraria e Tipografica con il titolo Storia dei viaggi intrapresi per ordine di S. M: Britannica del Capitano Giacomo Cook. Questa pubblicazione è la prima fonte che testimonia la presenza a Capodimonte di oggetti etnografici provenienti dai mari del Sud[7]. Spesso le storie per negligenza finiscono per essere trasformate, il racconto diventa debole e le parole perdono il loro significato.
La discussione su quale tra le arti sia la più perfetta è una disputa antica: numerosi trattati a cominciare dai Romani svilupparono l’argomento, e nella maggior parte dei casi si affannarono a dimostrare che fosse la pittura il mezzo migliore per riprodurre la realtà e trasfigurarla nel modo più perfetto[8].
L’attenzione maggiore dedicata alla pittura sembra riflettere questo pensiero e spiegare la marginalizzazione dell’arte statuaria. A Capodimonte la scultura è stata sacrificata nell’intento di realizzare la più grande pinacoteca del Mezzogiorno. Eppure, come sperimentato nell’allestimento dell’ultima mostra su Battistello Caracciolo, c’è un legame che unisce la scultura e la pittura capaci di condizionarsi e di ispirarsi a vicenda. Custoditi nei depositi ci sono poi le arti decorative: mobili di rappresentanza, tessuti e svariati oggetti provenienti dalla Reggia di Capodimonte pressoché cancellata nella sua identità quando nel 1957 diventò museo. La ricollocazione in futuri allestimenti di questi arredi e queste suppellettili, che spesso provengono anche da altre dimore reali, si prefigge di riconciliare il passato, una vita di Reggia raffinato e colto, con un presente, una Pinacoteca tra le più importanti d’Europa.
(1.continua)

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Qui sopra e al centro, due scorci della mostra dedicata ai depositi di Capodimonte. Nelle altre due immagini, la copertina del volume e la fontana del Belvedere davanti al Museo


NOTE

[1] La mostra fu poi prorogata fino al 15 ottobre 2019.

[2] Gli oggetti esposti rappresentava circa il 20% per cento del totale delle opere contenute nei depositi.

[3] Sylvain Bellenger Prefazione pag. 19 Depositi di Capodimonte Storie ancora da scrivere Editori Paparo 2022

[4]Bernard Berenson, nato Bernhard Valvrojenski (Butrimonys Lituania 26 giugno 1865 – Fiesole, 6 ottobre 1959),storico dell’arte statunitense nei suoi “Ultimi diari 1947-1958” edito da Feltrinelli nel 1966 scrive: “Passando da Napoli nel 1955 Bruno Molajoli mi portò a Capodimonte e mi parlò del suo progetto di trasformare il Palazzo Reale in una Pinacoteca. L’edificio mi diede l’impressione di un triste abbandono, sicché non nascosi il mio timore che da esso non si sarebbe potuto tirare fuori nulla di buono. Ma non avevo fatto i conti con la genialità di Molajoli: quello che lui è riuscito a fare lo mette in prima linea tra i realizzatori, tra gli esseri capaci di portare tutto a buon fine. È un visionario che sa attuare i suoi sogni ed allo stesso tempo un artista di grande sensibilità e di ottimo gusto”

[5] Giulia Proto I depositi di Capodimonte nel progetto di trasformazione della reggia in museo:1952-1957  Depositi di Capodimonte Opera citata pag. 87.

[6]Sylvain Bellenger Prefazione pag. 21 Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere Editori Paparo 2022

[7] Carmine Romano Turchi, selvaggi e africani Incontri curiosi nella Reggia di Capodimonte dai Borbone ai Savoia pag. 125. Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere Editori Paparo 2022

[8]Orazio nell’Ars poetica ricerca il primato tra poesia e pittura ut pictura poesis. Leonardo da Vinci nel trattato Il Paragone decreta la pittura vincitrice sulla poesia, la musica e la scultura. Anche Galileo Galilei chiamato a dirimere una controversia tra lo scultore Pietro Bernini e il pittore Ludovico Cigoli, conferma la supremazia della pittura.

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