Le disobbedienti/ La discriminazione nei confronti delle donne in dieci parole: la analizza Laura Nacci in un libro edito da Tab

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Gli argomenti che affronta Laura Nacci in “Parole e potere al lavoro. Il gender gap in dieci racconti linguistici”, pubblicato da Tab editore, sono quelli che frequento da oltre trent’anni investendo energie e passione, leggere le sue ricerche e riflessioni conferma la convinzione sull’importanza di quello in cui lei, io e tante altre crediamo impegnandoci: una tangibile e incontrovertibile parità di genere.
Nominare le cose significa legittimarle e costruire significato condiviso che assume senso e valore collettivo, lo vivo quotidianamente nel lavoro e come fondatrice di un’associazione nata oltre un decennio fa da dall’intuizione di creare un network attraverso il quale valorizzare il talento delle donne nel mondo del lavoro.
Scrivo di questo perché, come l’autrice, avverto la forza e l’impatto della testimonianza di chi racconta in prima persona di situazioni vissute sulla propria pelle. Il vissuto diventa esempio e modello di ispirazione.
«Sì, perché il linguaggio non solo descrive la realtà che ci circonda, dà forma ai nostri pensieri e ci consente di co-municare con altre persone, ma spesso supporta e accelera i cambiamenti che avvengono nella società in cui viviamo, indirizzando le persone a pensare e agire in un determinato modo» come non essere d’accordo?
Nacci analizza dieci parole – argomenti cruciali – partendo dalla loro genesi linguistica: stereotipo, carriera, glass ceiling soffitto o tetto di cristallo, quote rosa, gender pay gap divario salariale o retributivo, mobbing, pinkwashing, molestia, stalking e mansplaining.
Ognuno dei temi trattati, con uno stile scorrevole e coinvolgente, è documentato da ricerche, citazioni e testimonianze che sostanziano fenomeni in cui tutte ci imbattiamo quotidianamente. Alzi la mano chi non incappa nel doppio standard per cui gli uomini sono tenaci e le donne caparbie, gli uomini determinati e le donne cocciute, gli uomini assertivi e le donne aggressive e via enumerando. Un esercizio, questo del doppio standard, declinato in ogni ambito e settore ma, volendoci limitare al solo mercato del lavoro, a nessuno sfugge come il preparare cibo sia – per ruolo ascrittivo – assegnato alle donne fin dalla notte dei tempi ma, solo ultimamente, anche noi possiamo ambire ad essere chef e non solo cuoche, un esempio fra tanti.
Le parole, scrive Nacci sono importanti, condivido pienamente. Da anni ribadisco la necessità di usare correttamente la lingua italiana declinando entrambi i generi – e non soltanto il maschile- nella descrizione delle professioni inciampando nei benpensanti per cui c’è sempre qualcosa di più importante, ben altro, di cui occuparsi invece di perder tempo su vocaboli cacofonici che, anche per alcune donne, sottraggono autorevolezza risultando sminuenti.
Sminuite le donne lo sono da talmente tanto tempo da aver introiettato la convinzione di non essere all’altezza dei colleghi uomini, motivo per il quale non negoziano le condizioni contrattuali, non hanno le stesse opportunità di progressione di carriera e tendono a sentirsi inadeguate e in preda al senso di colpa per la doppia presenza: in famiglia e al lavoro.
Il tema affrontato è di matrice culturale, affonda le radici nei secoli passati in cui la filosofia aristotelica ha permeato i costrutti sociali e infiltrato la religione cattolica di un postulato basato sulla “mancanza” della donna, carenza indicativa di una necessaria sottomissione che, nel migliore dei casi, viene presentato come ruolo ancillare e complementare.
Mancanza morale e intellettuale che l’autrice ben illustra con l’esempio del Malleus Maleficarum, “Il martello delle malefiche”, pubblicato nel 1487 dal frate domenicano Heinrich Kramer con la collaborazione del confratello Jacob Sprenger per individuare le donne che disobbedivano e condannarle alla tortura e al rogo come streghe: «Maliziose, credulone, di scarsa intelligenza – “per quanto riguarda l’intelletto e la comprensione delle cose spirituali esse sembrano appartenere a una specie diversa da quella degli uomini” –, impressionabili, perfide, impazienti, volubili, hanno la lingua lubrica e smodate passioni. Le donne sono difettose: sono state fatte “con una costola curva, cioè una costola del petto ritorta come se fosse contraria all’uomo. Da questo difetto deriva anche il fatto che, in quanto animale imperfetto, la donna inganna sempre» la donna non solo è minus habens ma, anche, pericolosa corruttrice in demoniaca combutta.
L’autrice scrive: «Come convincere le persone che catturare le streghe, torturarle e ucciderle era una cosa giusta e, anzi, come motivarle a farlo? Beh, anche attraverso un (falso) racconto etimologico del termine «femmina», così descritto nella risposta alla domanda VI (Rignardo alle streghe che si accoppiano con i diavoli. Perché le donne sono principalmente dipendenti dalle superstizioni del male?): è chiaro nel caso della prima donna che aveva poca fede; perché quando il serpente chiese perché non mangiassero di ogni albero del paradiso, ella rispose […]. E tutto questo è indicato dall’etimologia della parola, poiché Femina viene da Fe e Meno [«fede minore», n.d.t.], poiché è sempre più debole nel sostenere e preservare la fede. […] Perciò una donna malvagia è per sua natura più pronta a vacillare nella sua fede, e di conseguenza più pronta ad abiurare la fede, cosa che è la radice della stregoneria».
Relativamente ai percorsi di carriera e all’utilizzo dell’espressione tetto – o soffitto – di cristallo qualcuno, anni fa, teorizzava che ci fosse una gradualità del fenomeno da distinguere in soffitto di vetro – più facile da infrangere – e soffitto di cristallo, Julia Gillard e Ngozi Okonjo-Iweala, in “Rompi il soffitto di cristallo! Vite straordinarie di donne che ce l’hanno fatta” distinguono tra labirinto di cristallo, riferendosi alle difficoltà che le donne incontrano partendo dal livello base, scogliera di cristallo quando sono chiamate in ruoli decisionali nei momenti difficili al posto di uomini normalmente incaricati in momenti stabili e soffitto di cristallo quando vengono frenate al secondo posto non riuscendo a raggiungere la vetta.
L’attribuzione di significato a parole ed espressioni è sintomatico del bisogno di far conoscere, condividere e portare nel dibattito concetti, comportamenti, situazioni e realtà che incidono sulla vita di metà delle persone che abitano il pianeta: le donne.  Mobbing, pinkwashing, molestia, stalking e mansplaining sono tutti sintomi di malessere di una società che si contorce spinta dal rifiuto del colpevole e reiterato silenzio che vuole – finalmente!- svelare, denunciare e affrontare.
Le donne che subiscono discriminazioni, aggressioni e comportamenti scorretti si sentono sole e inadeguate e – la maggior parte delle volte- sono convinte di meritare quanto accade perché non abbastanza forti, competenti, determinate, capaci.
Il testo di Nacci è importante, aggiunge informazioni, spunti, opinioni e dati a un argomento che richiede un approccio interdisciplinare in ragione del suo investire tutti i piani e le dimensioni dell’esistenza, il tema sul tappeto rimanda a un piano filosofico che riguarda l’ontologia.
La dimostrazione di quanto affermato risiede nella possibilità di un’analisi del tema attraverso lo spettro di qualsiasi disciplina e aspetto come, ad esempio uno che potrebbe apparire minoritario e poco significativo, quello della moda.
L’autrice riporta i propri sentimenti nel dover scegliere come abbigliarsi per non sentirsi a disagio in un contesto lavorativo, lo ricordo spesso anch’io alle ragazze che incontro, l’aver lavorato in settori maschili negli anni Novanta mi induceva a mimetizzarmi usando colori neutri, scarpe basse e nessun accessorio vistoso, a quarant’anni consapevole del valore e le competenze maturate ho abbandonato la “divisa” per indossare una cifra personale, Marisa Bellisario ci ha lasciato una grande lezione: essere sé stesse senza rinunciare alla femminilità.
Le donne vivono in un costante equilibrio precario in cui, spesso, l’auto sabotaggio o il mancato sostegno – quando non apertamente ostile competizione – delle altre rende faticoso ed emotivamente costoso fare delle scelte, per tale motivo iniziative come NO WOMEN NO PANEL lanciata da RAI Radio 1 nel 2020 rappresentano segnali importanti che l’autrice presenta nel loro portato linguistico di parola macedonia: manel man+panel.
E se quando un uomo vuole spiegare le nostre idee, esibendosi in un insopportabile mansplaining, ci assale un’orticaria che deborda in furia altrettanto sgradevole risulta l’occupazione dello spazio fisico a danno delle donne in contesti chiusi come quelli del trasporto pubblico: il manspreading.
Nacci solleva il velo su un nodo cruciale: la presenza delle donne nello spazio pubblico. Presenza nel mondo del lavoro, sulla scena politica, nei ruoli istituzionali, nello sport, le arti, la scienza, la letteratura, la musica sono stati, per secoli, preclusi alle donne imprigionate nella clausura domestica.
Questo è il motivo per cui è nata questa rubrica: trarre dalle pieghe del tempo tutte #ledisobbedienti volutamente obliate perché colpevoli di aver infranto le regole sociali della propria epoca affermando sé stesse e il proprio diritto di scelta. Rivendicare il diritto di esserci significa agire su più piani, quello linguistico è uno dei più importanti poiché è attraverso il λόγος, lógos che si articola e prendono forma la parola, il pensiero e il ragionamento.
Per cambiare il mondo bisogna passare per la parola perché in essa è racchiusa la potenza del riconoscimento e della legittimazione, fino a quando non si nomina non si riconosce l’esistenza. E per favore basta con questa odiosa connotazione cromatica del rosa per riferirsi a qualsiasi attività sia svolta da donne, esiste forse l’imprenditoria “in azzurro”?
Le quote per il riequilibrio di genere, male necessario senza il quale nessun passo avanti si sarebbe compiuto, servono per riequilibrare la presenza tra uomini e donne e non per dare pennellate di folklore e stereotipi.
A tutte piacerebbe poter vedere donne talentuose e competenti farsi strada solo per il riconoscimento dei loro meriti senza la necessità di ricorrere a un meccanismo regolatorio di tipo impositivo ma, purtroppo, la realtà lo richiede, senza di esso la nostra presenza sarebbe ancora più esigua. Agire così oggi significa costruire un futuro in cui, si spera, non ce ne sarà più bisogno. Parlare, scrivere, leggere di questo è il TEMA, non una oziosa conversazione su aspetti minori…benvenuto a un nuovo testo che aggiunge conoscenza, esperienze e opinioni.
©Riproduzione riservata

IL LIBRO
Laura Nacci, Parole e potere al lavoro. Il gender gap in dieci racconti linguistici,
Tab editore
Pagine 148
euro 14
L’AUTRICE
Laura Nacci, divulgatrice linguistica, TEDx speaker, docente di gender equality, è direttrice della formazione di SheTech, ente no profit che supporta la parità di genere nei settori digital e tech. Realizza percorsi formativi che hanno l’obiettivo di portare le persone a una maggior consapevolezza degli stereotipi e dei doppi standard (soprattutto linguistici), che spesso caratterizzano il mondo del lavoro. È autrice, insieme a Marta Pettolino Valfrè, del libro Che palle ’sti stereotipi (Fabbri, 2023).

Sul tema tra #ledisobbedienti:

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