Le interazioni sistemiche tra innovazione digitale, patriarcato e capitalismo sono al centro del libro scritto da Lilia Giugni e da poco pubblicato da Longanesi “La rete non ci salverà. Perché la rivoluzione digitale è sessista (e come resistere)”.
«Ancora oggi viviamo in un sistema sociale che costruisce le donne come un soggetto “altro” e subalterno, e marginalizza le loro voci e i loro bisogni ogni volta che è chiamato a sviluppare una visione d’insieme su fatti di grande rilevanza collettiva. E la rivoluzione digitale non fa certo eccezione».
Leggere queste pagine mi ha fatto tornare indietro nel tempo a quando, coetanea dell’autrice, progettai e coordinai per la misura rivolta all’educazione continua degli adulti dei primi bandi PON percorsi di alfabetizzazione informatica per casalinghe, al lavoro di consulenza e supporto svolto per orientare le aspiranti imprenditrici e ai libri scritti nel 2010 e qualche anno dopo sulla precarizzazione del mercato del lavoro e sul modo in cui questo colpisca le donne in misura maggiore rispetto agli uomini.
Mi ha riportato alla memoria la trappola della flexicurity, un termine di moda alla fine del primo decennio del nuovo secolo, per illuderci che una maggior flessibilizzazione del mercato del lavoro avrebbe generato occupazione.
Ed è sul significato della parola “occupazione” che si aprì il fronte caldo della contrapposizione che avrebbe portato, negli anni, a riforme e rimaneggiamenti del sistema legislativo in materia di contratti di lavoro e allo scontro sociale e politico. Una ferita, quella della balcanizzazione del mercato del lavoro, diventata purulenta.
Dalla fine degli anni Novanta ad oggi lo sviluppo della rete ha subito una accelerazione che l’ha portata a insinuarsi in ogni singolo aspetto della vita delle persone, nella vita di ognuna/o di noi, anche nel mercato del lavoro. Giugni esamina l’argomento che ha posto sul tavolo – le disuguaglianze, i rischi e le trappole – viste da differenti angolazioni – sostanziando i suoi ragionamenti con ricerche, statistiche, testimonianze raccolte e documentate insieme con esperienze direttamente vissute.
La sua è una analisi sfaccettata e intersezionale, non solo di lavoro scrive ma delle svariate modalità in cui violenza e sopraffazione si concretizzano. Il primo plauso che sento, prepotentemente, di volerle fare riguarda lo sforzo compiuto – e dichiarato- di scrivere in una “lingua” non accademica, come pure le sarebbe venuto immediato vista la sua professione di docente universitaria a Cambridge.
Ha optato, invece, per uno stile chiaro, diretto, intellegibile e non autoreferenziale. Ha scelto di scrivere non per pochi ma per tutte/i e questa scelta significa privilegiare la possibilità di informare e far comprendere meccanismi importanti a un universo, quanto più esteso possibile di persone, in luogo del ristretto circolo accademico di riferimento in cui le pubblicazioni sono il passaporto – fondamentale – per costruire la carriera.
Rispetto a cosa Giugni avverte l’esigenza e l’urgenza di divulgare informazioni, dati e studi?  Diversi sono gli aspetti sollevati nel corso della trattazione e tutti mirano ad evidenziare la necessità di intervenire per porre rimedio alle implicazioni che la tecnologia porta con sé.
Che il progresso non possa connotarsi in modo neutro dovrebbe essere convinzione comune, ma per coloro per cui non lo fosse, l’autrice si sofferma sulla esplicitazione dei vantaggi e degli svantaggi che la rivoluzione digitale comporta: contratti di lavoro penalizzanti, discriminazioni in base al sesso, il genere, la razza e la religione, perpetuazione degli stereotipi, rischio di molestie e violenze, divulgazione di materiale pornografico in assenza di consenso, informazioni personali, indebiti e illeciti arricchimenti etc. A venire in rilievo sono i profili etici, di impatto sociale, di sostenibilità ambientale e di carattere politico.   
«In ambienti accademici dove si studia la dimensione etica e sociale dell’innovazione, si dice spesso che nessuna tecnologia è di per sé opprimente o emancipatoria, e al tempo stesso nessuna tecnologia è neutrale. Questo aforisma apparentemente contradditorio mi è sempre stato molto a cuore, perché incapsula due aspetti fondamentali della questione. Prima di tutto, che un qualunque dispositivo può, purtroppo, essere utilizzato per perpetrare abusi e marginalizzazione. E ci dice anche che il dispositivo stesso, essendo stato concepito da esseri umani, porta incisi nel suo funzionamento gli scopi non sempre nobili e gli errori e le distorsioni tipici, appunto, di qualunque mente umana».
Con queste parole si apre la porta alle considerazioni sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale, la frontiera tecnologica che alcuni credono ancora lontana ma, al contrario, ci è prossima molto più di quanto crediamo.
Se gli esseri umani programmano le macchine perché queste imparino a pensare da sole partendo dagli input ricevuti bisognerebbe domandarsi: i programmatori hanno fornito input che rispecchino la composizione totale della società o soltanto una parte di essa? Siamo tutte/i rappresentati negli algoritmi che regolano il funzionamento dei sistemi che gestiscono ogni aspetto della nostra quotidianità scegliendo i criteri secondo cui l’utenza può accedere o meno a servizi, contenuti, prestazioni e diritti? E ancora i componenti e le materie prime necessarie alla costruzione di ogni dispositivo da dove provengono e come sono regolati i rapporti di lavoro del settore? Le piattaforme social e le APP che gestiscono flussi di informazioni relativi agli utenti che si collegano che uso fanno di tali dati e dei contenuti condivisi? Chi vigila sull’operato dei colossi multinazionali che detengono il mercato?
Giugni non si limita a sollevare interrogativi ma fornisce indicazioni, risposte, suggerimenti. Se la tecnologia non si connota per il carattere della neutralità nemmeno la scrittura, pertanto, si può essere d’accordo o meno con le idee proposte dall’autrice – in tutto o in parte- ma non si può negare il valore del contributo che apporta a un dibattito che necessita di maggior attenzione, vivacità e coinvolgimento.
L’autrice accende i riflettori e illumina, perciò, se qualcuno/a non è d’accordo su singoli aspetti che l’illuminazione evidenzia va certamente bene, a condizione, che riconosca il merito a chi la luce l’ha accesa e che, possibilmente, ne arricchisca le tesi e le opinioni apportando altri validi punti di vista.
Suggerisco di svolgere l’esperimento che indica: provate a digitare su un qualsiasi motore di ricerca “le donne devono” e “gli uomini devono”. I risultati che visualizzerete sono quelli commentati da Giugni, un esercizio facile facile per toccare con mano la realtà di una società – globalizzata – imbevuta di stereotipi e e meccanismi con cui la rete si autoalimenta di questi perpetrandoli all’infinito come in un gioco di specchi di dimensioni universali.
Al termine del libro l’autrice ringrazia i genitori e le persone cui deve: «la certezza maturata fin da bambina che se avessi avuto qualcosa da dire qualcuno l’avrebbe ascoltata» avvalorando quanto sostenuto nel saggio di Julia Gillard e Ngozi Okonjo-Iweala “Rompi il soffitto di cristallo! Vite straordinarie di donne che ce l’hanno fatta” pubblicato da Aboca che ho scelto qualche mese fa per questa rubrica in cui le autrici – e le intervistate che hanno rivestito un ruolo politico – affermano di aver compiuto le loro scelte spinte dall’insegnamento ricevuto che le sosteneva nella certezza di essere all’altezza dell’obiettivo che si erano proposte.
In Lilia Giugni scorgo la passione, l’entusiasmo e la tenacia e in esse rivedo la me più giovane. La me di adesso si sente di dire all’autrice tienile sempre strette a te queste qualità perché ti sosterranno anche quando lo sconforto e la disillusione si faranno avanti per pretendere il loro tributo.
Entrambe siamo napoletane ed entrambe viviamo a cavallo tra la cultura mediterranea della Magna Grecia e quella anglosassone, entrambe ci scontriamo con gli ostacoli e le difficoltà. Ma questi, sono certa, non la distoglieranno dal raggiungere gli ambiziosi traguardi che si prefigge perché ambizione – è bene ricordarlo – è una parola che ha una accezione positiva sia se si riferisca a un uomo che a una donna.
I temi trattati hanno una valenza e una dimensione globale ed è, perciò, un bene che il libro verrà pubblicato anche in lingua inglese dando la possibilità, a ragionamenti e idee, di valicare i nostri confini nazionali. 
©Riproduzione riservata
In copertina, foto di Pete Linforth da Pixabay



IL LIBRO 
Lilia Giugni
La rete non ci salverà. Perché la rivoluzione digitale è sessista (e come resistere)
Longanesi
Pagine 275
euro 19
L’AUTRICE
Lilia Giugni è nata a Napoli e vive nel Regno Unito. Ha conseguito un PhD in Politics presso l’Università di Cambridge, dove oggi è ricercatrice associata, e insegna Innovazione sociale presso l’Università di Bristol. È un’attivista femminista intersezionale ed è Fellow della Royal Society of Arts. Ha cofondato il think tank femminista GenPol – Gender & Policy Insights, che svolge un lavoro di ricerca e advocacy su questioni di genere e giustizia sociale. I suoi scritti sono apparsi su The Globe Post e la Repubblica.

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