Le disobbedienti/Le viaggiatrici del Grand Tour: Attilio Brilli e Simonetta Neri (ne) raccontano storie, amori, avventure

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All’esame di maturità classica, alla fine degli anni Ottanta, presentai una tesina su Stendhal in cui approfondivo i suoi scritti sull’Italia e il suo viaggiare, procedendo nelle letture mi incuriosì confrontare la sua visione dei luoghi con quella di Goethe nella descrizione di paesaggi a me noti, mi interessava avere una visione a più voci.
Di racconti di viaggi scritti da donne, seguendo gli stessi itinerari, non sapevo nulla. Il Grand Tour era, per la mia conoscenza dell’epoca, roba da giovin signori che prima di fare il loro ingresso nella vita adulta compivano un viaggio di formazione.
Nei libri di critica letteraria che consultai non vi era nessuna menzione riguardo a scrittrici che avessero vissuto la stessa esperienza. «Le donne reduci da un viaggio continentale versano sempre in una situazione incresciosa; se riferiscono cose che sono già state dette, risultano noiose e si dice di loro che sono andate in giro cieche come talpe; se invece riportano qualcosa di nuovo, si sghignazza alle loro spalle perché si pensa che raccontino frottole e storie romanzesche» sono le parole scritte da Mary Wortley Montagu e riprese da Sydney Morgan, pseudonimo di Sydney Owenson, in occasione della pubblicazione del suo libro “Italy” (1821) dedicato ai viaggi compiuti in Italia.
Testimonianze del Grand Tour scritte da uomini ce ne sono molte – e famose – ma altrettante ne hanno lasciate le donne e vale la pena conoscerle per diversi motivi. In “Le viaggiatrici del Grand Tour. Storie, amori, avventure” scritto da Attilio Brilli con Simonetta Neri per Il Mulino vengono presentate sedici viaggiatrici che hanno scritto delle loro esperienze, una galleria ricca di sfumature che conduce il lettore/trice in una analisi attenta delle caratteristiche dell’odeporica femminile.
Il periodo abbracciato è quello di un secolo e da Anne-Marie du Boccage (1757) a Jessie E. Westropp (1854) leggiamo di come l’esperienza del Grand Tour da esclusivo appannaggio aristocratico si sia esteso alla classe borghese comportando un mutamento sociale che si rifletté nell’organizzazione degli aspetti pratici.
Cosa distingue la letteratura di viaggio maschile da quella femminile nel periodo, tra Settecento e Ottocento, in cui si svolgeva il viaggio di formazione attraverso l’Europa per giungere in Italia? Il primo aspetto è senz’altro l’approccio mentale, le viaggiatrici erano acute osservatrici che si sforzavano di essere obiettive accantonando pregiudizi e luoghi comuni, guardavano agli usi, i costumi e le tradizioni cogliendo l’abilità nell’artigianato, la creatività, il tratto antropologico, la situazione politica, l’influenza del papato sulla vita quotidiana, le difficoltà della popolazione legate alla miseria e alle epidemie che flagellavano incontrastate accompagnando, in alcuni casi, i loro scritti con annotazioni topografiche, schizzi e acquerelli.
Il secondo aspetto è il loro essere innovatrici, non a caso sarà una viaggiatrice ad adottare la tecnica sperimentale della vaccinazione, all’epoca chiamata innesto, contro il vaiolo e diffonderla in Inghilterra: Mary Wortley Montagu.
L’innovatività si declina in diversi aspetti tra cui quello del canone letterario, dalla forma epistolare e diaristica tipica del Settecento si passa, attraverso il romanzo “Corinne” di Madame de Staël, alle memorie di Elizabeth Vigée Le Brun, al dettagliato giornale di viaggio corredato da un sistema di valutazione espresso in punti esclamativi – antesignano delle stelle – in cui al posto di descrizioni romantiche o scoraggianti per la scarsa sicurezza ad attraversare il suolo italiano, compaiono utili consigli pratici sull’abbigliamento, le valigie, i farmaci, il danaro e le necessità legate agli spostamenti di Mariana Starke e le guide di Frances Trollope fino all’artificio del manoscritto ritrovato di Anna Jameson.
Il primo esemplare di guida dell’Italia scritto da una donna risale al 1776 ed è di Anna Riggs Miller “Letters from Italy”. Il diffondersi di pubblicazioni sul Grand Tour scritte da donne ne ispira altre a voler intraprendere il viaggio soprattutto perché in quel che leggono trovano aspetti più interessanti di quelli trattati dagli uomini maggiormente focalizzati sull’ammirazione per le vestigia della classicità e affetti da un senso di superiorità che li porta a guardare ad ogni cosa e persona esclusivamente dal proprio punto di vista infarcito di preconcetti e stereotipi.
Le viaggiatrici, al contrario, si mettono in cammino con la mente aperta per cogliere le differenze culturali senza la protervia di considerarle inferiori al proprio sistema valoriale e sono pronte a riconoscere le libertà che le donne hanno in altri luoghi: «Mary Wortley Montagu era stata una delle prime a sostenere che in Italia le donne vengono apprezzate per le loro doti intellettuali, mentre non c’è paese al mondo in cui vengono trattate con disprezzo come in Inghilterra».
Ognuna delle viaggiatrici presentate sviluppa un suo stile nel raccontare esperienze, sensazioni, suggestioni e dati scaturenti dall’osservazione oggettiva, c’è chi si censura, chi viene colpita dalla figura del cicisbeo, chi inorridisce vedendo le giovani novizie che entrano in clausura, chi a Venezia indaga sulle relazioni adulterine e chi si sofferma sulla condotta morale.
Ognuna vive il viaggio con motivazioni diverse ma, tutte, sono accomunate dalla stessa aspettativa: evadere da una società maschilista che le vuole relegate in ambito domestico e le esclude dall’esperienza di crescita personale e culturale del Grand Tour.
Alle donne era preclusa – salvo rarissime eccezioni – la possibilità di studiare, coltivare il proprio intelletto e le proprie passioni se non per compiacere l’uomo che ne sarebbe divenuto il marito, sapere troppo avrebbe potuto mettere in imbarazzo il proprio consorte.
Viaggiare era una evasione dalla claustrofobica quotidianità da non lasciarsi scappare, partire e vedere, ascoltare e assaggiare cose nuove era uno stimolo per la mente di cui tutte/i avevano bisogno come l’acqua. «L’uomo ha fondato Roma, ma Dio ha creato Napoli, alla quale ha elargito, più che a ogni altro luogo, una sconfinata dote di meraviglie» sono le parole di Hester Piozzi, parole che fanno comprendere l’acume e la sensibilità dell’osservatrice e riportano alla mente quanto scritto nel 1795 da Franz Posselt, autore di un famoso manuale di viaggio, secondo cui le donne non avrebbero dovuto compiere l’esperienza del Grand Tour onde evitare di incorrere nel serio rischio di esporsi a «eccessiva sollecitazione immaginativa e sentimentale».
Il tratto della sensibilità alla bellezza paesaggistica e naturale è comune a diverse viaggiatrici e scrittrici come Mary Shelley che amò profondamente l’Italia nonostante i drammatici avvenimenti funesti, la morte dei figli e del marito, Elizabeth Webster Holland che scrisse di una notte d’estate nella baia di Napoli come momento di rapimento dei sensi e Catherine Wilmot che della stessa Napoli racconterà come di un luogo che ammalia, seduce e sfugge a qualsiasi veritiera descrizione.
Conoscere l’odeporica femminile è importante perché riempie un vuoto restituendo un’immagine di un’epoca e di luoghi troppo a lungo conosciuti solo attraverso una lente viziata da limiti e poiché ogni forma di racconto soffre di parzialità e personalismo – anche quella delle viaggiatrici – il confronto tra la letteratura di viaggio scritta dagli uomini e quella scritta dalle donne permette una visione più ricca, completa e interessante.
Recuperare la voce delle viaggiatrici per restituirle alla contemporaneità è una gran bella cosa. «Il nome dell’Italia contiene una magia in ogni sillaba, ogni luogo nominato soddisfa qualche desiderio e risveglia cari ricordi» sono le parole di Mary Shelley sul nostro Paese, tutta la magia la possiamo ritrovare in quello che lei e le altre hanno scritto raccontando la nostra storia.
©Riproduzione riservata 

IL LIBRO
Attilio Brilli con Simonetta Neri,
Le viaggiatrici del Grand Tour. Storie, amori, avventure,
Il Mulino
pagine 243
euro 16

GLI AUTORI

Attilio Brilli è fra i massimi esperti di letteratura di viaggio. I suoi libri sono tradotti in varie lingue. Fra le sue numerose pubblicazioni con il Mulino segnaliamo: «Il grande racconto del viaggio in Italia. Itinerari di ieri per viaggiatori di oggi» (nuova ed. 2019), «Il grande racconto dei viaggi d’esplorazione, di conquista e d’avventura» (2015), «Il grande racconto delle città italiane» (2016) e «Gli ultimi viaggiatori nell’Italia del Novecento» (2018).

Esperta di letteratura inglese e profondamente legata alla propria terra, Simonetta Neri ha pubblicato in collaborazione con Attilio Brilli Il fragore delle acque, Motta, 1997 e quindi Sulle tracce di san Francesco, Il Mulino, 2016 e, sempre in collaborazione, Le viaggiatrici del Grand Tour, Il Mulino, 2020. Autrice di guide letterarie, per Minerva editoriale ha dato alle stampe Valnerina. Itinerari tra natura, storia e mito, 2018. Ha tradotto testi di raffinate scrittrici inglesi e americane, da Vernon Lee a Edith Wharton, mettendo in risalto il loro ruolo di donne emancipate. Ama scrivere storie fantastiche e racconti che vengono letti e sceneggiati nelle scuole primarie e secondarie.

Ecco #ledisobbedienti viaggiatrici:

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