Dal 16 gennaio 2023, data dell’arresto di Matteo Messina Denaro, i mezzi di comunicazione di massa si affannano a mostrare covi, amanti, orologi, champagne, occhiali da sole, effetti personali, quadri, dell’ultimo padrino dell’ala stragista dei corleonesi. Per quanto riguarda le connivenze si evidenziano le cose più futili: medici, prestanome, rivenditori di auto, autista, traslocatore.
Il mafioso Matteo Messina Denaro è l’ultimo “depositario” dell’archivio personale di Salvatore Riina, il capo di Cosa nostra, quello che avrebbe “ricattato” lo Stato per trattare con esso.
Quando Riina fu arrestato, il 15 gennaio 1993, il suo rifugio non fu perquisito “allo scopo di permettere lo sviluppo di indagini coperte sui soggetti che assicuravano protezione al boss”. A chiedere di non ispezionare il covo di via Gian Lorenzo Bernini, 54 (Palermo) fu il ROS dell’Arma dei Carabinieri. A precisarlo è stato proprio l’ex procuratore della Procura di Palermo – Giancarlo Caselli.
Chi ebbe modo di “ereditare” l’archivio segreto di Totò Riina fu il suo braccio destro Bernardo Provenzano, il primo ad arrivare a via Bernini 54, appena arrestato il capo di Cosa nostra. Nel 1995 Provenzano, dopo l’arresto di Leoluca Bagarella, diventa il capo dei capi della mafia siciliana.
All’interno delle due fazioni dei corleonesi, Matteo Messina Denaro era tra quelli che decise di continuare le stragi contro lo Stato, a differenza del gruppo dei “pacifisti” con le istituzioni.
I processi contro la mafia siciliana confermano che il famoso archivio di Totò Riina è passato nelle mani di Bernardo Provenzano, per poi approdare, da questi, alle mani di Matteo Messina Denaro.
Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo – Vito Ciancimino – condannato in via definitiva per associazione mafiosa, così riferiva ai magistrati palermitani in merito ai documenti secretati da Totò ‘u Curtu: “Nel covo di Riina carte da far crollare l’Italia”.
Ma perché è di vitale importanza la documentazione mai trovata dagli inquirenti? È orami pubblicamente risaputo che nella cassaforte della villa-bunker di Salvatore Riina si trovavano nomi e cognomi dei rappresentanti dello Stato, i corrotti e i corruttibili, le trame territoriali attraverso le quali si strutturava la mafia, i “sodali” dell’antistato e i “deviati” delle istituzioni pubbliche. Ma più di tutti vi era l’agenda rossa di Paolo Borsellino, che avrebbe contenuto tutto quanto ereditato da Falcone e fino alla strage di Via D’Amelio, dove, appunto, saltò in aria proprio Borsellino e i 5 uomini della sua scorta.
A questo punto della storia, se non fosse ancora sufficientemente chiaro, Matteo Messina Denaro è l’unico testimone vivente che potrebbe cacciare fuori l’agenda rossa, i pizzini e tutti i documenti nascosti dai vertici di Cosa nostra. Se ciò non accadrà l’Italia onesta, laboriosa e trasparente, non capirà mai fino in fondo ciò che è accaduto nei rapporti tra la mafia e lo Stato, non verranno mai più fuori i nomi di politici, corpi militari e tutti quei poteri pubblici che avrebbero dovuto difendere i cittadini da Cosa nostra.
Non verrà neppure fugato il dubbio di un probabile “arresto concordato” di Matteo Messina Denaro, da più parti sussurrato. Anzi, se quei segreti andranno con lui nella tomba, ci sarà sempre qualcuno che potrà dire che sia avvenuto quando erano stati messi al sicuro tutti i nomi dei pubblici poteri deviati, al punto che mai più nessuno appartenente a questi potesse essere arrestato.
Quindi, salvezza per tutti!
I mezzi di comunicazione, in primo luogo, avrebbero l’obbligo e il diritto-dovere di portare alla luce le cose necessarie, parlare della “sovrastruttura” della mafia, di quanti hanno disonorato, venduto il proprio paese, di tutti quelli che hanno mantenuto in ostaggio una nazione intera. E se buona parte tra questi continueranno a parlare di cosa mangiava e beveva Matteo Messina Denaro andrebbero annoverati anch’essi tra i fiancheggiatori della mafia, tra quelli che non vogliono arrivare alle verità ancora nascoste.
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Foto di Stefan Schweihofer da Pixabay

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