In questo mondo sconvolto da una crisi sanitaria di dimensioni planetarie, dove ogni certezza è stata messa in discussione e la quotidianità di vita è stata affiancata da ansia sociale e paura collettiva, ormai si ragiona per grandi aggregati, sono le entità sovranazionali a dettare le scelte (o dovrebbero esserlo), i singoli Stati si dimostrano impreparati da soli e si fa spazio un sentimento di solidarietà tra popoli, dal basso, in autonomia. Meno, in questo senso, le istituzioni tra di loro.
E’ il caso della UE, dove l’egoismo circoscritto dai confini nazionali sembra prendere il sopravvento.
Innanzitutto sui cosiddetti Coronabond, ovvero titoli europei emessi dalla BCE o BEI, si sta consumando una partita drammatica tra la Germania, l’Olanda ed alcuni altri paesi da un lato e l’Italia e la Francia dall’altro.
La Merkel non vuole assolutamente assumersi la responsabilità di un debito comune europeo, responsabile, orizzontale, condiviso e solidale tra tutti gli Stati membri. Ma vuole restare dentro i confini del cosiddetto salva-stati, ovvero usare il fondo previsto dal meccanismo europeo di stabilità (MES), che vale appena 450 miliardi di euro.
A differenza di italiani e francesi che non vogliono battere moneta propria e si sentirebbero a tutti gli effetti sotto l’ombrello di quella Comunità in cui hanno sempre creduto, che vorrebbero privilegiare un intervento nell’economia di proporzioni almeno pari all’effetto devastante di un virus che sta piegando il mondo intero, una terapia d’urto mai conosciuta prima dalla storia recente degli Stati d’Europa.
Le due strategie a confronto sono diametralmente opposte e si dividono tra chi vuole un piccolo debito calcolato e chi immagina un grande intervento pubblico, tra chi vuole dare una mancetta a strozzo agli Stati e chi vorrebbe privilegiare un vero e proprio piano Marshall.
Insomma, l’Europa monetaria si divide tra chi assomiglia a quella figura di Camillo (Nino Taranto) quando interpreta il “caro ragioniere”, ovvero si fa corrispondere il 10% di diritto fisso quando Antonio (Totò) procaccia finti posti di lavoro ai malcapitati e chi vuole buttare il cuore oltre l’ostacolo.
Questa Europa ha nel suo grembo Stati che interpretano lo stare insieme come qualcosa da cui bisogna prendere più di quello che viene dato e Stati che, nel bene e nel male, sentono un senso di appartenenza ed un vincolo solidaristico, propri di chi fa squadra. Almeno ci credono.
Questa UE non approva il bilancio pluriennale (2021-2027) da ben 22 mesi. Proprio così, un organismo che non riesce a trovare la quadra economica per indirizzare le politiche comunitarie a vantaggio di uno sviluppo armonico tra gli appartenenti. Come può essere credibile una istituzione sovranazionale che non riesce a chiudere un bilancio da quasi due anni?
Anche qui vi sono idee e strategie di fondo diverse, antitetiche. Per esempio, la neo eletta presidente della Commissione Europea – Ursula von der Leyen – ha fondato la sua recente elezione su un programma che guarda in maniera interessante all’economia verde, piano ribattezzato Green Deal. Un complesso progetto europeo, molto impegnativo economicamente, per combattere il cambiamento climatico, fondato principalmente su un’economia di mercato sostenibile e sganciata dallo sfruttamento massivo delle risorse naturali.
Salvo scoprire che le maggiori risorse da destinare al Green Deal dovrebbero essere massicciamente sottratte alle cifre previste per le politiche agricole e di coesione territoriale della UE, che valgono oltre il 70% di tutto il bilancio europeo. Ovviamente ciò incontra lo sfavore di alcuni Stati che, di fatto, stanno indebolendo il piano della presidente Ursula.
Finanche sui diritti umani questo “corpo monetario” non la racconta giusta. Una corrente di pensiero vorrebbe destinare minori cifre verso quegli Stati che non rispettano i diritti umani o, per meglio dire, lo Stato di diritto. Su questo punto i veti incrociati salgono dai cosiddetti paesi di Visegrad, che si oppongono fermamente sulle modalità di voto per deliberare la decisione. Schermaglie sul funzionamento burocratico di quella istituzione che nascondono ben altri interessi degli Stati membri, da un lato e dall’altro.
Per finire vi è un altro dietro le quinte che la dice lunga su questo Istituto. La Germania, assieme a qualche altro paese, ha posto una discussione in seno alla UE finalizzata a chiedere uno sconto sul proprio contributo nazionale per finanziare il bilancio comunitario. Più chiaramente i tedeschi vogliono sostenere l’Europa versando meno soldi come quota per il proprio paese. Insomma, la Merkel (foto) vuole comandare di più e spendere di meno. Davvero sconcertante.
Se questo quadro più o meno corrisponde al vero, vi è da chiedersi: ma conviene restare in “questa” Europa, ovvero, è utile e necessario stare assieme a chi vuole decidere i destini economici di alcuni paesi a discapito di altri?
Va fatta una constatazione anche se potrebbe avere il sapore di una medicina amara, ci si divide anche con uno sconvolgimento in atto di proporzioni planetarie, non indietreggia l’egoismo territoriale nemmeno di fronte a questa immane tragedia. Il nazionalismo prevale sul senso di comunità oltre i confini.
Ora si potrebbe obiettare che queste argomentazioni sono buona musica per le orecchie di un antieuropeista come chi firma questa riflessione, ma sfido anche i più tenaci assertori dell’unità europea a respingere quanto qui si sostiene.
Di certo queste argomentazioni non sono assolute, ma almeno realiste sì. E come tali andrebbero interpretate.
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