«Una donna che scrive deve confrontarsi con delle lingue tutte costruite dagli uomini. Quando una donna racconta, i suoi personaggi femminili non sono più creature solo disonorate, solo belle, solo contese, non sono più soltanto madri, amanti o prostitute. Finalmente diventano combattenti». A scriverlo è Ruggero Cappuccio in “La principessa di Lampedusa” da poco pubblicato da Feltrinelli.
Quel che leggiamo certamente è vero per alcune autrici, per quelle combattenti e consapevoli, che scelgono un registro linguistico differente da quello tarato su una realtà, esclusivamente, maschile.
Ci sono romanzi che piacciono per la loro trama, per la dovizia e l’accuratezza dell’ambientazione capace di evocare suggestioni, per la caratterizzazione dei personaggi, per il ritmo narrativo o per lo stile.
L’ultimo lavoro di Cappuccio è tutto questo insieme, dalla prima all’ultima riga. Uno scrigno di pagine. Il suo è uno scrivere denso di significati, ricco di sfumature impreziosito da una rara padronanza linguistica che diventa virtuosismo.
L’idioma in cui si esprime Accursio, servitore di palazzo, è una rutilante prova di sopraffina creazione linguistica, leggere le sue evoluzioni regala – a quanti amano le coloriture conferite dall’uso sapiente delle parole – un autentico piacere affermando e rinfrescando la scelta di un lessico locale, definirlo dialettale sarebbe riduttivo, che rispecchi, con fedeltà, la vera natura dei personaggi.
Il suo scrivere è assai lontano dalla casualità, l’abitudine e la svogliatezza, esso è chirurgica, abile, mano che cesella, cogita e sceglie con perizia espressioni, parole e intonazioni: «Guelfo, Santorre, Cateno…Che si poteva fare, con quei nomi, se non i pupari?»..
 Beatrice Tasca Filangieri di Cutò, principessa di Lampedusa, è la protagonista di un affresco storico, sociale ed economico raccontato con tono intimistico, è la madre di colui che scriverà “Il Gattopardo”: Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
La seguiamo nel suo tornare in una Palermo distrutta dai bombardamenti alleati del 1943 per ricongiungersi con la propria identità, la propria storia: «Ho capito che da loro avevo ereditato pensieri e sogni. Ho dovuto iniziare a combattere contro tutto questo, per sapere chi ero, chi ero io veramente di là di loro».
La ricerca identitaria passa attraverso un percorso di consapevolezza delle proprie radici affrontato in un momento storico di cesura in cui quello che – per secoli – era stato un modello sociale, codificato e immobile, crolla sotto i colpi demolitori della monarchia e di un mondo nel quale l’aristocrazia conduceva un’esistenza cullandosi con inossidabili certezze, un vivere in un tempo sospeso in cui l’immutabilità degli equilibri – di un sopra e un sotto sociale- scandiva l’alternarsi delle stagioni.
Beatrice sa chi è, quali sono i principi etici che dalla nascita la guidano e ne fanno la persona che è a cui, mai, rinuncerà, per lei vale la nobiltà che impone doveri di lealtà, onestà, rettitudine, solidarietà, giustizia, responsabilità. Aristocrazia e nobiltà possono non essere sinonimi se con un termine ci si riferisce a una classe parassitaria esclusivamente intenta a preservare prebende, salvacondotti e privilegi e con l’altro si intende un destino di nascita provvisto di inderogabile corredo di doveri verso sé stessi, gli altri e la propria terra.
Beatrice è – convintamente- una #disobbediente che infrange le regole sociali per affermare le proprie idee: «Si ricordi: per gli uomini, una donna che sogna la libertà è sempre una strega. Una donna che pensa alla sua felicità è un’eretica. Ma mi creda, vale la pena cento volte».
Sfollata in un luogo distante dalla città vi fa ritorno spinta dall’urgenza di compiere il suo destino e ritrova le mura, vilipese, del palazzo di famiglia in cui prende alloggio per intrecciare i fili del passato con quelli del presente affinché il futuro possa avere la tessitura che desidera. Sul suo cammino incontra una giovane donna a cui passare il testimone della disobbedienza consegnando la memoria di un tempo che fu: quello del Gattopardo. L’autore si sofferma, più volte, sul tema della maternità, sul rapporto tra madri e figli e sul ruolo che la società impone alle donne: “Il mondo ha riconosciuto alle donne la funzione del generare senza mai aver capito quanto sia profondo il significato del generare. La funzione cessa con il parto e il significato viene cancellato senza pietà. Le donne che nei secoli hanno avuto idee non sono state aiutate quasi mai dai maschi».
Generare idee, intuizioni e progetti non si addiceva – e talvolta ancora oggi non si addice – alle donne, a noi, è concesso generare progenie.  Chi si ribella, come la principessa di Lampedusa, va incontro a un destino battagliante di stigmatizzazione sociale. «Per il piacere della battaglia…». «Sì. Per questo. E perché combattendo produciamo energie interessanti. Anche in mancanza del raggiungimento dell’obiettivo, accettando la sfida impariamo cose che ci serviranno dopo. I duelli con il destino non si accettano solo per vincerli. Si accettano anche per scoprire i nostri segreti mentre perdiamo. Mentre perdiamo con onore».
Beatrice non ha bisogno di conferme identitarie, sa perfettamente chi è, ma vuole tramandare alle generazioni successive il significato di un’identità personale, familiare, che incarna e rappresenta quella collettiva, vuol mantenere vivo il ricordo di una comunità che si sta sfaldando di fronte a un nuovo ordine che avanza.
Come le sue antenate nei millenni precedenti si fa narratrice affinché la memoria non vada persa ma tramandata. Fa rivivere, per un’ultima volta, lo splendore di un tempo che fu in un surreale ballo sotto i bombardamenti, quasi fossero gli ultimi bagliori di Pompei prima della fatale eruzione vulcanica, evoca un mondo antico per coloro che, raccolti in un salone scosso dal rombo delle esplosioni, essendone stati i protagonisti ne celebrano la fine prendendo commiato.
Il mondo può andare a fuoco ma loro, Beatrice e i membri della nobiltà siciliana con cui ha condiviso l’esistenza, non derogano al loro essere, l’identità non è cosa effimera. Una protagonista intelligente, ironica, acuta, audace e fascinosa, una vera disobbediente. Per chi ama la buona scrittura, per chi predilige le storie ben costruite, per chi ancora crede nel talento, a tutte/i voi, che spero tanti e vivaci, è un libro che consiglio vivamente.
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IL LIBRO
Ruggero Cappuccio
La principessa di Lampedusa
Feltrinelli
pagine 363
euro 20

L’AUTORE
Ruggero Cappuccio (Torre del Greco, Napoli, 1964) è scrittore, drammaturgo e regista. Con il romanzo La notte dei silenzi (Sellerio, 2007) è finalista al Premio Strega (2008). Con Fuoco su Napoli (Feltrinelli, 2010) vince il Premio Napoli e il Premio Vittorini (2011). Segue La prima luce di Neruda (Feltrinelli, 2016). Per il cinema e la televisione cura le sceneggiature e firma le regie di Lighea, Il sorriso dell’ultima notte, Rien va, Paolo Borsellino Essendo Stato, Examleto, La lingua di fuoco. Come autore di teatro scrive e dirige nel 1993 Delirio Marginale (Premio IDI), Il sorriso di San Giovanni (Premio Ubu novità italiana, 1997), Spaccanapoli times (Premio Le maschere del teatro italiano Migliore Autore di novità italiana, 2016). Per la collana Classici del teatro Einaudi pubblica Shakespea Re di Napoli (Premio Speciale Drammaturgia Europea, 1995), Edipo a Colono (2001) e Le ultime sette parole di Caravaggio (2012). Firma numerose regie liriche per La Scala di Milano, Il Festival di Salisburgo, L’Opera di Roma, il Maggio musicale fiorentino e il Teatro San Carlo di Napoli. Ancora per Feltrinelli pubblica Essendo Stato (2019).

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1 COMMENTO

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