Qui sopra, la copertina del libro. In alto, una giovane donna al lavoro: la scrittura inclusiva è un dibattito aperto anche in Francia
Qui sopra, la copertina del libro. In alto, una giovane donna al lavoro: il dibattito sulla scrittura inclusiva è aperto da tempo  anche in Francia

Linguaggio di genere? Ci sono problemi ben più seri da affrontare. Declinazione al femminile di titoli e professioni? Ministra, sindaca sono parole cacofoniche. Botta e risposta. Sono trascorsi più di trent’anni dalla pubblicazione de “Il sessismo nella lingua italiana” (1986) e le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana (1987) di Alma Sabatini. Con queste pubblicazioni, frutto di un lavoro all’interno di una commissione di studio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Alma Sabatini introdusse un dibattito – ancora vivo e animato – portando in Italia il confronto con l’esperienza americana e le conversazioni con Betty Friedan che arricchì i lavori della prima Commissione Nazionale per la realizzazione della parità tra Uomo e Donna istituita nel 1984.
Nel 2017, una giornata di studi promossa dal Centro Documentazione Donna di Modena a cui hanno aderito l’assessorato alle pari opportunità del Comune di Modena, il Crid – Centro di ricerca interdipartimentale su discriminazioni e vulnerabilità dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia con il patrocinio della Regione Emilia Romagna e l’adesione della University of Birmingham, Dante Alighieri Society-Birmingham, del Gruppo di lavoro interuniversitario sulla soggettività politica delle donne e della Casa internazionale delle donne di Roma ha fatto il punto sullo stato dell’arte.
“Il sessismo nella lingua italiana – Trent’anni dopo Alma Sabatini”, curato da Anna Lisa Somma e Gabriele Maestri, raccoglie alcuni dei contributi di quella iniziativa in cui si discusse sul dibattito avviato decenni prima. Il modo in cui scriviamo e parliamo, la scelta dei vocaboli, non risponde esclusivamente a canoni grammaticali ma riflette un modello culturale.
Ancora oggi la trappola lessicale è dietro l’angolo: maestra, segretaria e infermiera sono termini di uso comune mentre architetta, ingegnera e avvocata vengono scartati perché cacofonici.
La grammatica italiana è ben chiara al riguardo: i secondi sono corretti quanto i primi, quel che oppone resistenza al loro uso è il riconoscimento delle donne in quei ruoli. Ci sono cariche istituzionali e professioni considerate di appannaggio maschile che, declinate al femminile, parrebbero  – per i detrattori del linguaggio di genere – svilite e depotenziate.
Nel tempo si è passati da una totale negazione della soggettività “Il ministro Bongiorno è a colloquio con il presidente del Senato Alberti Casellati e il segretario della Cisl Furlan” a un equilibrismo lessicale “la ministro” “la signora ministro” a dispetto, anche, degli interventi a sostegno di una corretta concordanza grammaticale da parte dell’Accademia della Crusca.
Nominare le cose significa legittimarle e usare la declinazione femminile porta con sé il riconoscimento di una evoluzione sociale in cui le donne conquistano spazi nel mondo del lavoro, delle istituzioni e della società civile. Cosa spaventa, cosa intimorisce? Cosa spinge a rendere il dibattito sul corretto uso della lingua questione residuale e di poco conto? La parità, il riconoscimento della presenza delle donne in ambiti ritenuti a loro estranei e preclusi.
I mass media  hanno recentemente, introdotto la declinazione di genere con l’uso di sindaca, ministra e consigliera mentre, nella lingua parlata quotidianamente, ancora si fatica – e chi utilizza tali termini deve spiegarne i motivi della scelta – a rivolgersi a donne che esercitano la professione chiamandole avvocate, architette ed ingegnere.
In italiano non esiste il maschile inclusivo né il genere neutro, quindi, l’unica possibilità è: usare il maschile e il femminile. La lingua è lo specchio di una società in un dato periodo storico, i vocaboli diventano obsoleti e i neologismi nascono per nominare oggetti, realtà e situazioni nuove.
La lingua non è mai neutra, al contrario, è ricca di valori, simboli, pregiudizi e significati. Noi siamo quel che definiamo, il modo in cui parliamo esalta, sottolinea, valorizza e crea oppure cancella, nega e seppellisce per perpetuare modelli sociali consolidati. Il mercato del lavoro contemporaneo vede la presenza di donne in professioni esercitate in passato in via esclusiva dagli uomini, così come le istituzioni ne conoscono la presenza in ruoli e cariche considerate, fino a pochi anni or sono, prettamente maschili.
La questione è identitaria: una donna che esercita la professione di architetta per quale motivo dovrebbe riconoscersi nel termine architetto? Forse che un uomo si riconosce nel termine direttrice?
Il genere non marcato – il maschile che comprende entrambe i generi maschile e femminile – cancella la presenza delle donne annullandone l’identità. L’obiezione sollevata a ogni cambiamento, “si è sempre fatto così”, è quanto propugnato, riguardo al linguaggio di genere, dai puristi della lingua che vedono nella declinazione al femminile una forzatura, un obbrobrio, una inutilità.
Tra i puristi si annoverano anche molte donne che invocano la neutralità della carica e del titolo professionale quasi che fosse indifferente la personalità, la soggettività di chi le incarna. Il linguaggio di genere non convince e infastidisce molti uomini ma sono numerose anche le donne che bollano come pedanti sostenitrici e sostenitori di teorie femministe chi invoca una corretta declinazione della lingua italiana.
Ai curatori di questo libro va il merito di aver contribuito a vivificare un dibattito troppo spesso liquidato come non prioritario, poco utile, non necessario e ad uso esclusivo del femminismo. Il modo in cui ci esprimiamo, le parole che scegliamo, racconta chi siamo, cosa pensiamo e che valore attribuiamo alle persone e le cose. Una lettura consigliata e da consigliare. La lingua italiana è viva, dinamica, aperta ai mutamenti e con un impianto grammaticale che non lascia scappatoie. La lingua italiana è viva e lotta con noi.
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IL SESSISMO NELLA LINGUA ITALIANA
Trent’anni dopo Alma Sabatini
a cura di Anna Lisa Somma e Gabriele Maestri
Blonk editore
pp. 252 16 euro

 

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