Partendo da Eva, dall’antica Mesopotamia, dalla Grecia, dall’Impero romano, dal Medio Evo, fino ai giorni nostri, scopriamo che sono cambiati gli usi, abusi e costumi, ma la prostituzione (argomento che tratteremo in questo articolo) è sempre esistita…. Sempre esisterà?
Tutti ci prostituiamo, anche solo per un buongiorno, c’è chi lo fa per bisogno, per fame, chi perché è costretto, ma anche per una scelta di vita, a volte per avere un telefonino all’ultima moda, o un capo d’abbigliamento firmato.
Nella terminologia moderna un uomo che si prostituisce è definito gigolò, escort, oppure con un termine dispregiativo marchettaro. Fare una marchetta era un’espressione usata ai tempi delle case di tolleranza (le cosiddette case chiuse).
La marchetta era un gettone che le prostitute ricevevano per ogni prestazione  ma la parola viene usata anche oggi  per indicare quando si accetta denaro per sbarcare il lunario, per sopravvivenza.
Per esempio, lo dicono gli attori quando prendono un lavoro che a loro non piace, magari non è nelle sue corde recitative e allora lo definiscono ‘n’a marchetta.
La prostituzione maschile e femminile è un fenomeno storicamente consolidato nelle grandi città metropolitane mondiali. Il mestiere considerato come il più antico del mondo è demonizzato in quanto usurpare il proprio corpo nel vendersi non è tollerabile per la nostra mentalità.
In altri paesi come l’Olanda la legge è più permissiva, ma con regole istituzionali ben precise. Anche Svezia, Norvegia, Islanda, Canada, Irlanda del Nor, hanno un particolare tipo di approccio giuridico alla prostituzione emerso alla fine del ‘900:  il divieto di acquisto, ma non la vendita di servizi sessuali. Così viene criminalizzato il cliente, non la prostituta.
In Italia è ancora in vigore la legge Merlin Legge 20 febbraio 1958, n. 75: Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui.
La parola prostituzione  viene dal latino prostituere: proporsi, esporsi al pubblico; già esporsi al pubblico, esseri insultati derisi, a volte picchiati e derubati, voi penserete Ma chi glielo fa fare?
Ogni storia è a sé stante. Ne raccontiamo qualcuna. Quella di E. Esposito ( nome di fantasia): è un ragazzo napoletano di 23 anni, parte per il nord, va a Torino pieno di speranza e di sogni, ma la realtà gli presenta subito il conto. Sfruttato, mal pagato, in più trattato come un animale.
Il giovane si ribella, non sopportando le angherie e l’ingiustizia, si ritrova in mezzo a una strada. Non vuole tornare a Napoli con la coda tra le gambe, sconfitto… E vede come unica via di uscita quella di vendere il proprio corpo.
Tante storie, ognuna diversa, ognuna simile. Mi trovavo nella storica Galleria Umberto I di Napoli per carpire alcune testimonianze di vecchie femminelle che sostavano quotidianamente in un bar dal lato di via Toledo. Volevo scrivere un libro sul tema e chi più di loro poteva regalarmi il racconto delle loro esperienze tra saggezza e sofferenza…
A un tavolino li vidi seduti in quattro, anziani, arzilli colorati spiritosi, mi avvicinai, presentandomi educatamente e chiedendo se potevo sedermi e parlare con loro. Una/o di loro si rivolse in malo modo, quasi scacciandomi, ma un altro la rimproverò, gentile invece nei miei confronti:  Uè ma che so ‘sti modi, assiettete guagliò… dicimi.
Dopo avermi fatto accomodare, furono tutti disponibili. Il desiderio  di raccontarsi era irrefrenabile, non riuscivo ad annotare il loro pensieri sul mio bloc-notes, anzi non avevo più voglia di scrivere, ero troppo affascinato.
L’anziano omosessuale, che mi aveva invitato a sedermi tra loro, era frequentatore della Galleria Umberto, un luogo di ritrovo di artisti e femminelle ma anche di ragazzi di vita alla ricerca di qualche cliente.
E riannodò i fili della sua memoria: «Qua sotto la galleria prima c’erano alcuni cinema declassati, dove noi femminelle ci appartavamo con il marchettaro di turno, ma prima ancora ci stavano i vespasiani anche là si acchiappava. Si faceva il giretto notturno tra Piazza Carlo III, Porta Capuana, Via Foria… Prima ancora ci dovevamo stare attenti, ci stava la legge fascista… ci portavano all’isola… (di S. Domino alle Tremiti ndr). Io ci sono stato: devo dire che gli isolani ci trattavano bene, ci davano da mangiare… e tante volte qualche marito di notte ci veniva a trovare e in cambio di qualche genere alimentare, noi gli cedevamo i nostri corpicini. Insomma, ci si prostituiva in cambio di qualche caciotta … tu mi guardi, vuoi sapere quanti anni tengo? Diciamo che sono una ragazza strappatella».
Rideva il signore sorseggiando il caffè, mentre un altro interviene approfittando della sua pausa. «Ma io quando mai sono andato con un marchettaro? A me mi dovevano pagare loro… e sì! E già! Io gli davo i soldi a loro… io ca ero ‘a chiù bella fummenella e Napoli… mi pagavano, e che soldini facevo… mi sono comprato due bassi a vico Gelso…poi…»..
 Il tipo venne interrotto energicamente da un altro. «Ma statta zitta cà si sempre stata ‘na scartellata».
Da questo momento iniziò un vero teatro tutto in vernacolo napoletano con terminologie a me sconosciute. Mentre le urla e gli insulti coprivano le mie parole spese per calmare gli animi, da lontano vedo una femminella che si avvicina.
Appena arrivò da noi, tutti zittirono, lei li guardò poi indicandole una a una con il dito disse:Tu , tu, tu e tu… dovete morire. E se ne andò, indifferente al mio sguardo stupito.
Appena si fu allontanata, tutti ridevano.  Chiesi chi fosse. Mi risposero che era «’na povera fummenella impazzita perché la famiglia l’ha cacciata da casa, adesso fa la barbona… ‘a barbona pazza».
«Guagliò- sottolineò uno del gruppo- la prostituzione c’è sempre stata, si perde nella notte dei tempi. Ma secondo te perché Eva, la prima donna, venne cacciata dall’Eden? Perché si prostituì per una mela». Ridevamo tutti.
Li salutai ringraziandoli per la loro disponibilità, andai via contento, ma anche dubbioso, chiedendo a me stesso: «Eva? La mela?” Questo passaggio non l’avevo capito…».
In seguito ritornai spesso al bar a intrattenermi con loro con simpatia e cordialità.  Durante una delle nostre abituali chiacchierate, si avvicinò un giorno un personaggio alquanto singolare dai modi molto femminei, in braccio aveva un enorme pupata, una bambola.
Tutti si lo accolsero con calore chiamandolo Carla Fracci. Dopo baci e abbracci, una certa Crudelia gli pose una domanda:  Ne, Carla Fracita, ma che fine hai fatto, non ti abbiamo più vista più vista in giro.
E la Carla come se fosse la cosa più naturale del mondo rispose: «Gesùùù… non lo sapete, mi sono sposato, questa pupata è un regalo per mia figlia».
Tutti ci quardammo con aria interrogativa, ma Crudelia incalzò: «Ma non lo sanno che sei femminella a casa?».
Da lì diventò tutto surreale. La Carla urlò, minacciò, inveì, finendo con una frase “Ma pecché a me mica se vede ca sò fummenella?».  E andò via urlando.
Ancora frequentai la bella compagnia, poi piano piano sono scomparsi tutti, evidentemente non erano tanto ragazze strappatelle.  Le ringrazio per quei bei bei momenti e perché mi hanno raccontato un mondo a me sconosciuto.
                                                                                                     (1.continua)

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