Nel 1526, Federigo Gonzaga duca di Mantova, chiede in dono a papa Clemente VII un dipinto visto nelle sale di Firenze, durante una sua visita alla corte medicea.
Si tratta di un opera di Raffaello: ritrae papa Leone X (per i profani, figlio di Lorenzo il Magnifico e promotore della vendita delle indulgenze che porterà allo scisma) con due cardinali.

Qui sopra, il ritratto del cardinale Alessandro Farnese. In alto, cartone di Raffaello. In basso, la Vergine dipinta dall’artista

In quel preciso istante Clemente VII si trova a un bivio: aprire una crisi diplomatica nella instabile Italia rinascimentale o privare il suo Casato di un capolavoro assoluto.
Viene allora interpellato Andrea Del Sarto, pittore di corte e tra i massimi della sua epoca. Toccherà a lui creare una copia esatta del dipinto, da mandare poi a Mantova.
La fama di Andrea del Sarto non è aleatoria: la falsificazione riesce e le relazioni diplomatiche sono salve.
Anni dopo Vasari, in visita alla collezione di Mantova svelerà il tutto a Giulio Romano, pittore di corte dei Gonzaga e allievo di Raffaello.
Questi, che aveva preso parte al disegno preparatorio del dipinto, non sospettando minimamente una simile truffa,  dirà di non giudicare la copia meno degna dell’originale. Una mano che potesse così fedelmente riprodurre Raffaello ha del divino, e non minor valore.
Il falso d’autore di cui sopra fa parte delle opere esposte nelle tre sale della mostra Raffaello a Capodimonte: l’officina dell’artista.
Visitabile fino a settembre, la mostra valorizza il patrimonio interno di opere legate all’urbinate: quelle che lo ispirarono, quelle che creò e quelle che a lui si ispirarono.
Perché, se l’episodio a cui abbiamo accennato, rende l’idea dell’importanza che il Sanzio ebbe per i suoi contemporanei, la sua maniera di fare arte, con l’organizzazione strutturata  di una bottega centrale nel suo lavoro, spiega l’altissima influenza di Raffaello in tutta Europa, nei secoli che seguirono la sua prematura morte.
Raffaello sapeva riconoscere il talento e convogliarlo verso un operato che avrebbe reso la sua rivoluzione artistica predominante perlomeno fino alla rottura attuata da Caravaggio.
I suoi assistenti sarebbero divenuti i migliori artisti della loro generazione, portando anima e tecnica nelle maggiori corti europee.
La storia artistica di Raffaello è fatta di moltissimo lavoro, strutturato, organizzato in modo da poter sopravvivere fattualmente alla scomparsa dell’ispiratore. Questo attraverso un processo che ne fa anche un artigiano di grandi capacità gestionali.
D’altro canto, come dice il direttore Bellenger, quello di Raffaello fu un momento unico nella sensibilità umana, e la sua anima era soprattutto tecnica finissima.
Per questo la Bottega è centrale, sia nel lavoro del pittore sia nella mostra di capodimonte, capace di far percepire il momento intimo della creazione di quelle opere.


Quella di Raffaello a Capodimonte è una piccola ma grande mostra, capace di camminare da sola e di far percepire l’intimità dell’operazione artistica della bottega di Urbino, il miglior posto dove crescere in quegli anni carichi di germi creativi.
L’esposizione, fortemente voluta da Angela Cerasuolo e Andrea Zezza, giunge al culmine di un anno che ha visto rafforzarsi la collaborazione tra il Museo e il mondo della ricerca, con l’affinamento di pratiche investigative capaci di riscrivere la storia e il valore delle opere conservate, e di proiettare Capodimonte in un periodo fecondissimo di novità assolute.
Non solo per la messa a punto di un sistema di illuminazione pensato appositamente per valorizzare le opere esposte, innovazione che prenderà il nome dal museo, ma anche per la stretta collaborazione con l’Università della Campania Vanvitelli, Il LAMS di Parigi, i LNS, e il CNR.Lavoro Multidisciplinare e trasversalità delle competenze.
Questa proficua collaborazione si esprime anche nel Convegno Internazionale Raffaello 1520-2020, spostato di un anno rispetto al previsto e che si terrà dall’1 al 3 luglio, per celebrare i 500 anni dalla morte dell’artista.
I mesi trascorsi hanno visto nascere un vero e proprio laboratorio di ricerca al museo, con tecnologie innovative e nuove applicazioni di tecniche già note, capaci senza essere invasive di scavare nei segreti di ogni opera analizzata.
Dalla radiografia a raggi x che mostra la struttura interna del dipinto, alla riflettologia a infrarossi, capace di far vedere perfettamente integro il disegno preparatorio sotto i vari strati pittorici, dalla fluorescenza a raggi x che individua gli elementi chimici presenti nei materiali pittorici all’imaging MA-XRF.
Nel caso di Raffaello, oltre allo scombussolamento emotivo che ne può derivare, questo si traduce nella riscrittura di quanto pensato intorno alla sua pittura, persino all’attribuzione stessa delle opere alla sua firma.
Un caso è quello della Madonna del Divino amore, opera matura, che la critica aveva declassato a lavoro di bottega prima che le indagini scientifiche rivelassero le profonde variazioni nel disegno sottostante, e ci dicessero che la grande copia preservata anch’essa al Capodimonte fosse non il cartone preparatorio, ma una riproduzione conservatoria successiva che segue fedelmente il dipinto, ignorando al contempo il disegno originario.
O ancora, le indagini sembrano definire con certezza che il magnifico dipinto de La madonna della gatta sia un capolavoro di Giulio Romano, dopo contesa tra questi e lo stesso Raffaello delle secolari versioni contrastanti.
L’opera fu quasi sicuramente cominciata dal Sanzio per rimanere incompiuta, complice la scomparsa dell’autore. Quindi fu terminata dal Romano che impresse il suo stile carico sul volto dei soggetti.
Interessante il percorso espositivo proposto, che rende conto del processo di crescita di un autore definito già come Magister a 17 anni, età in cui prese parte alla creazione della pala dell’Incoronazione del Beato Nicola da Tolentino, perduta tranne che per i due frammenti conservati nel museo napoletano. Tre fasi, dal confronto con l’ambiente artistico, alla piena maturità fino alla diffusione di copie e falsi d’autore.
Una parabola artistica che seppe assimilare tutto quanto di positivo avesse creato l’arte fino ad allora e a cui aveva accesso il giovane pittore nato e cresciuto nel Palazzo Ducale di un’Urbino cuore culturale dell’epoca.
Raffaello fu capace di catturare e trasformare tutto, rendendo all’arte una straordinaria umanizzazione delle figure. Riuscì nell’operazione di rendere più umano persino Michelangelo.
La sua singolare esperienza segnò un punto di svolta nell’arte europea, permettendo un salto totale sul piano della cultura tutta.
Anima e tecnica, ispirazione e lavoro minuzioso. L’arte di Raffaello sembra prestarsi particolarmente bene alla nuova stagione delle opere svelate fin nei minimi dettagli dal sodalizio arte e scienza.
Un connubio che ci fa capire quanto quel velo di miracolo che avvolge la pittura straordinaria del Sanzio, fosse dovuta alla genialità di rinnovare le tecniche pittoriche. Questa riduzione ad umano di un artista ritenuto divino non fa che accrescere il suo valore.
Così, a Capodimonte, Arte e Scienza si uniscono e diventano unico corpo, rileggendo cinquecento anni dopo la forza simbolica di un lascito straordinario fatto di Anima e Tecnica e capace di dominare per secoli la scena culturale europea.
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LA MOSTRA
Raffaello a Capodimonte: l’officina dell’artista
(10 giugno – 13 settembre 2021)
a cura di Angela Cerasuolo e Andrea Zezza
coordinamento indagini diagnostiche Marco Cardinali
(8.30-19.30 ultimo ingresso 18.30)



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