Oggi ci prendiamoUn caffè con … Luigi Mascilli Migliorini”, che saluto e ringrazio, con il quale continuiamo il ciclo di incontri per parlare di autonomia differenziata e dei rapporti socio-economici tra Nord e Sud del paese.
Luigi Mascilli Migliorini, storico italiano, è professore ordinario di storia moderna all’Università di Napoli “L’Orientale”.

CAROTENUTO: Giorgio La Pira ha fatto parte dei 75 della Costituente e tra le altre proposte è colui che, in particolare, ha fortemente ispirato l’articolo 2 della Costituzione, dove si parla di “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Oggi si vuole “spaccare” quel principio, addirittura con legge ordinaria (autonomia differenziata). Non trovi che sia un’aberrazione?  

MASCILLI MIGLIORINI: Il richiamo all’articolo 2 della Costituzione e al principio di solidarietà è quanto mai opportuno. Non si può, purtroppo, che constatare quanto danno abbia procurato nel corso degli ultimi trent’anni l’apparizione sulla scena del discorso pubblico del linguaggio leghista e quante complicità e pavidità abbiano a esso permesse di diventare in troppo casi una cultura di senso comune. Aggiungo, e se ne ha in questo caso la riprova, che il discorso pubblico leghista si è sin dall’inizio caratterizzato per una volontà di riscrittura della Costituzione soprattutto nelle sue norme ispiratrici fondamentali. E anche in questo caso non possiamo, a distanza di trent’anni, calcolare quali danni abbiano provocato le collusioni e le esitazioni, quando non le vere e proprie complicità, che lo hanno accompagnato.

CAROTENUTO: Numerosi recenti studi dicono che al momento dell’unità d’Italia non esisteva nessun divario economico tra le due Italie. Francesco Saverio Nitti nel suo saggio intitolato “Nord e Sud” (1900) parlava di saccheggio delle finanze meridionali e di disequilibrio della tassazione nei confronti del Mezzogiorno, subito dopo il 1861. Mentre Lombroso parlava di razza “poltrona” al Sud, Niceforo sosteneva che “la barbarie è propria del Mezzogiorno”.
Si può dire che questo territorio è stato offeso economicamente e antropologicamente?

MASCILLI MIGLIORINI: La storiografia italiana, non da oggi, ha messo in rilievo che le differenze tra Nord e Sud erano, alla vigilia dell’Unità, assai tenui in termini di sviluppo imprenditoriale e di redditi. La vera, abissale differenza, era quella che separava l’intera penisola, Nord e Sud insieme, dalle aree industrialmente sviluppate dell’Europa, Inghilterra e Francia in prima linea, ma anche Belgio, Olanda e in misura minore il mondo tedesco. Il Risorgimento, dunque, fu un movimento nazionale teso a portare l’Italia intera nel quadro della modernizzazione ottocentesca. In questo progetto era compreso anche il riallineamento di quei parametri, come ad esempio l’alfabetizzazione o l’infrastrutturazione ferroviaria, nei quali, con buona pace dei facili evocatori di “primati” meridionali e borbonici, o, ancor peggio, di complotti internazionali, la distanza tra alcune parti del Nord, segnatamente la Lombardia e il Piemonte, il Mezzogiorno era assai significativa. Altro è, poi, discutere se quel progetto di riallineamento europeo complessivo del paese sia stato perseguito con totale efficacia dalle classi dirigenti unitarie, rispetto alle quali, appunto, Nitti alla fine del secolo esprimeva tutti i suoi dubbi e avanzava tutte le sue innovative proposte. Non bisogna, tuttavia, dimenticare anche in questo caso, come molto è stato discusso dalla storiografia agli inizi degli anni Sessanta del Novecento, che la creazione di una base industriale in un paese latecomer come si presentava l’Italia negli anni Ottanta dell’Ottocento non era impresa semplice. I risultati furono certo discutibili e laceranti in termini di nascita di una “questione meridionale”, ma non c’é dubbio che il risultato che si ottenne fu la possibilità per l’Italia di muoversi sin dagli inizi del nuovo secolo, e questo Nitti lo riconosceva ampiamente, nell’ambito delle nazioni industrializzate del pianeta.

CAROTENUTO: Si dice che la disoccupazione al Sud è stata massimamente consistente nel periodo post-industriale. E’ possibile storicamente stabilire quale fosse, con certezza, una fase industriale definita come tale? Più semplicemente, si è mai avuta una industrializzazione che abbia superato arretratezza, degrado urbano, economia illegale e mafie?

MASCILLI MIGLIORINI: Tutti gli indicatori relativi al periodo in cui sono state operate politiche di intervento nel Mezzogiorno – parliamo cioè degli anni della Cassa tra il decennio Cinquanta e il decennio Ottanta – mostrano un deciso processo di industrializzazione delle aree meridionali con incrementi di PIL e di indici di reddito pro-capite. Questo processo ha una data di arresto che si deve collocare sul finire degli anni Ottanta (da ricordare tutta lunga querelle sulla siderurgia a Bagnoli), dopo la quale non vi è dubbio che l’intero Mezzogiorno e alcuni grandi suoi centri, come appunto Napoli, non abbiano più conosciuto una fisionomia produttiva all’altezza delle loro esigenze e della loro stessa tradizione. Si tratta di una pagina assai rilevante e ancora troppo studiata, che chiama in causa la capacità, sia delle vecchie come delle nuove classi politiche, di pensare e gestire la trasformazione post-industriale. La nascita della Lega, cui prima si accennava, alla fine degli anni Ottanta non è, in questo senso, un semplice fenomeno politico, ma aiuta a comprendere le drammatiche fratture che si aprirono allora nella identità dell’Italia come paese industriale tutto intero. Non si dimentichi la siderurgia a Taranto o a Gioia Tauro, non si dimentichi che Napoli, in termini di capacità produttiva e forza occupazionale era allora la quarta città industriale del paese.

CAROTENUTO: Secondo te, è corretto (oltre che riscontrabile) argomentare sul fatto che vi sia stato un contributo del Sud al costituzionalismo e al regionalismo?

MASCILLI MIGLIORINI: Il discorso su questo tema è abbastanza complicato. L’ispirazione autonomista e decentrata della nostra Carta costituzionale nasceva prevalentemente da una tradizione di pensiero che, a partire da Carlo Cattaneo, si legava a esperienze e riflessioni di quella Italia centro-settentrionale dove Liberi comuni, Repubbliche, Stati regionali, avevano rappresentato il tessuto storico di una precoce esperienza di autogoverno. Occorre pensare oggi con attenzione a questa lontana matrice, per comprendere in quale misura, nel dibattito attuale, le autonomie abbiano, per così dire in una parte d’Italia una “risonanza” democratica che può rappresentare il più prezioso alleato delle preoccupazioni di un Mezzogiorno la cui storia è spesso stata, anche senza generalizzare, più vicina a impianti statali centralistici per garantire gli spazi democratici.

CAROTENUTO: Esiste un pensiero storico da attualizzare per la condizione in cui si trova oggi il Mezzogiorno? E perché?

MASCILLI MIGLIORINI: Il meridionalismo democratico, da Nitti a Giuseppe Galasso, passando per Salvemini, Ciccotti, Dorso, è oggi la tradizione intellettuale e politica alla quale si può guardare per pensare un Mezzogiorno capace di proporre un nuovo discorso nazionale sulle autonomie che abbia lo sviluppo della democrazia e non puri bilancini di fiscalità e interessi, a propria ispirazione. Senza, ovviamente, dimenticare quelle componenti della tradizione operaia e socialista che con quella cultura hanno sempre trovato occasioni di incontro e di intesa.                      
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Nelle foto, Luigi Mascilli Migliorini e uno scorcio dell’isola flegrea di Nisida                                  

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