Il 18 novembre, a Napoli, si è svolto un presidio davanti all’Ospedale San Giovanni in Bosco. La Consulta popolare salute e sanità, insieme ad altri movimenti cittadini, tra i punti salienti ha chiesto la riapertura del pronto soccorso, l’accesso alle cure per tutti i cittadini e un trattamento dignitoso per i lavoratori. In simultanea, alcune Municipalità hanno approvato in seduta congiunta un documento che recepisce le istanze dei manifestanti in un territorio densamente abitato, in cui lo stato della sanità pubblica rischia il collasso. Ne abbiamo parlato con il dottore Paolo Fierro, vicepresidente di Medicina Democratica ed esponente della Consulta popolare per comprendere le ragioni della protesta.

In copertina e sopra: 18/11/2022, scatti dal presidio di cittadini e lavoratori all’Ospedale San Giovanni in Bosco per chiedere la riapertura del pronto soccorso [Photo credit: Daniele Maffione]

Per quale ragione si è tenuta una manifestazione all’ingresso del Presidio Ospedaliero San Giovanni in Bosco?
Perchè è stata convocata una seduta congiunta tra i consigli delle quattro municipalità che coprono la periferia nord–orientale della città – la 2ª, la 3ª, la 7ª e l’8ª – per denunciare la necessità di un presidio di pronto soccorso in quest’area. Parliamo di un’area vastissima, in cui vivono centinaia di migliaia di persone che risultano particolarmente gravate da fenomeni antichi di mortalità evitabile, perché ci sono dati statici molto preoccupanti. In contemporanea, i movimenti e la Consulta popolare salute e sanità hanno convocato un presidio in attesa dei risultati di questo incontro per chiedere la riapertura del pronto soccorso. Hanno partecipato numerose sigle e anche diversi operatori dell’ospedale Cardarelli.
Perché chiedete la riapertura del pronto soccorso?
Questa città ha soli due pronto soccorso attivi – il Cardarelli e l’Ospedale del Mare – con un vuoto spaventoso nel mezzo, perché non sono state create strutture intermedie, la medicina territoriale non funziona, quella distrettuale è peggio che andar di notte. Alla fine, anche in maniera impropria, la gente affluisce solo ai PS. Le statistiche in tal senso sono preoccupanti. Questo vuol dire il collasso periodico, costante e programmato dei due ospedali.
Qual è la soluzione, allora?
Creare altri punti d’accesso, che non possono essere i mega PS, ma rafforzare il San Paolo, il Pellegrini vecchio, riaprire il San Giovanni in Bosco e il Loreto mare. Bisogna potenziare i Dea (Dipartimento emergenza urgenza e accettazione) di primo livello, che sono pronto soccorsi non completi, però strutture tali da poter assorbire una parte della domanda. Poi, bisogna metter mano alla medicina territoriale. La pandemia c’ha dimostrato che il vuoto di questo tipo d’azione ha creato disastri. Inizialmente, la regione Lombardia – che era la migliore d’Italia come ospedalità- è collassata, perché aveva solo grandi strutture. L’ospedale, invece, non è la prima linea, ma la retroguardia e questo non è mai entrato nella logica dei nostri governanti. Infatti, hanno redatto e pubblicato ben quattro piani sanitari ospedalieri, limitati all’ospedalità, senza mai affrontare il problema territoriale. Questo, oltre che stupido, è veramente sucida.
Prima ricordavi del ruolo delle Municipalità e della Consulta popolare Salute e Sanità. Ma il Comune di Napoli, invece, come si sta muovendo?
Dietro la partecipazione dei municipi c’è un lavorio costante della Consulta. Abbiamo fatto un tour informativo tra le municipalità più esposte ai dati critici, illustrando il referto epidemiologico comunale, cioè i dati della mortalità proprio nei punti in cui questa era in eccesso. La periferia nord-orientale, San Pietro a Patierno, il Rione Amicizia e altri quartieri hanno dei dati fuori squadra, al di sopra della media cittadina. Abbiamo così messo a fuoco la necessità dell’assistenza ospedaliera. Da qui è nata questa mobilitazione. È merito dei presidenti delle municipalità che menzionavo l’aver mostrato sensibilità nel voler entrare in un argomento da cui finora erano esclusi, benchè tra le loro prerogative faccia parte il monitoraggio del benessere della popolazione. Tuttavia, come Consulta popolare ci aspettavamo una maggiore sensibilità anche da parte del Comune, che in base a quei dati di cui sopra, poteva sbattere i pugni sui tavoli governativi per avere più fondi, più medici, più strumenti. Invece, abbiamo avuto un’enorme difficoltà nel contattare l’istituzione comunale.
In che senso?
Abbiamo avuto un buon rapporto con la presidente della commissione salute, la dottoressa Fiorella Saggese, ma non siamo mai stati capaci d’incontrare l’assessore alla Salute e al Verde, Vincenzo Santagada, o il Sindaco, Gaetano Manfredi. Questa è una cosa grave, perché il Sindaco è responsabile e tutore della salute di tutta la cittadinanza e non si può chiamare fuori da questa vicenda. È bene che questo elemento sia chiaro, perché quando vedremo le assenze e i risultati peggioreranno ancora, chiameremo in causa anche loro se non avranno svolto il loro dovere così come da mandato istituzionale.

Il volantino di convocazione del presidio firmato dalla Consulta popolare salute e sanità

La pressione sui 118 e le strutture di pronto soccorso è forte. Non di rado si verificano episodi di aggressione. Questi fenomeni sono indice di un’esasperazione popolare?
Badate bene, noi agiamo in un territorio in cui la violenza è palpabile. Noi stiamo contenendo la giusta rabbia popolare all’interno di una contrattualità e di una vertenzialità democratica. Però non so dire cosa accadrà in futuro. Specialmente con la prospettiva dell’autonomia differenziata, ipotizziamo un peggioramento della situazione. È impossibile prevedere quali reazioni vi saranno nel quotidiano, perché qui stiamo regredendo a prima della riforma sanitaria, dove l’individualismo e la violenza sono la reazione più naturale. Lo confermano purtroppo anche le aggressioni ai medici e agli infermieiri che sono rimasti nei PS.
In base agli ultimi dati messi a disposizione dal Ministero della Salute, la Fondazione GIMBE indica un aumento dei contagi da Covid-19. Le RSU di diversi ospedali lamentano la mancanza di personale nei reparti. Ma non dovevamo uscire migliori dalla pandemia?
Per ciò che concerne Napoli, il San Giovanni in Bosco e il Loreto mare -trasformati in centri Covid- non hanno mai funzionato appieno. Non a caso hanno avuto un numero risibile di pazienti. Anche perché non appena i pazienti presentavano all’accesso qualche problematica più complessa, venivano trasferiti altrove. La ragione principale è dovuta al fatto che queste strutture sono state svuotate e desertificate dalle specialistiche, nonché da tutti i rami di complemento che possono inquadrare una gestione delle patologie un po’ più complessa. Per questo c’è sembrato un pretesto la trasformazione del San Giovanni in Bosco e del Loreto mare. I governanti hanno detto che li avrebbero trasformati in centri Covid, perché c’era l’emergenza. Ma non li hanno mai fatti funzionare in tal senso e comunque hanno intasato gli ospedali più grandi. A che gioco giochiamo?
Il governo Meloni ha parlato della rimozione di obblighi e restrizioni legati ai rischi trasmissibilità del virus. Cosa ne pensi?
Sono molto preoccupato anche per gli ammiccamenti all’area dei no vax. Relativamente alla gestione della pandemia, si parla di reintegrare tout court tutti i ricoverati, senza garanzie o limitazioni. Cosa dovranno dire gli ammalati che avranno contatti con questa gente, che ha rifiutato non tanto una scelta personale, quanto piuttosto una norma di garanzia utile a tutti? Sarà allora giustificato il sospetto verso chi ha rifiutato un atto di responsabilità verso persone più deboli? Chiaramente se tutto verrà stemperato nell’anonimato, potrà pure passare sotto silenzio. Almeno fin quando non pioveranno i morti e faremo la fine della Lombardia nella prima fase del contagio. La storia insegna ma, a quanto pare, non ha scolari.
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