5 domande per Napoli”“. Proseguiamo con la nostra rubrica di approfondimento politico. Obiettivo: determinare un quadro di idee, analisi, contributi, dubbi, proposte, di autorevoli commentatori in uno spirito di coraggio, umiltà e compartecipazione, a servizio della città a venire. Ne parliamo con il costituzionalista Massimo Villone.

Qui sopra, Massimo Villone. In alto, Napoli in una immagine di  zerisileme da Pixabay 


1)Napoli è tra più fuochi: un avamposto contro l’autonomia differenziata avanzata dalle Regioni del Nord, una città alla ricerca di un’identità perduta tra le tante “anime” del Mezzogiorno e un capoluogo che non accetta fino in fondo la sfida nell’ambito dei paesi del Mediterraneo. Avere un’idea di città significa avere un’idea di futuro. Quale la tua?
«Anzitutto mi sembra necessario porre due premesse di metodo. La prima è che la città attraversa una fase di declino, nel sentire dei suoi cittadini e nella proiezione verso l’esterno. Questo è un dato che va acquisito e metabolizzato, insieme alla consapevolezza che non se ne esce con slogan bellicosi, che non servono a niente quando mancano le forze politiche, sociali ed economiche che raggiungano una massa critica e siano in grado di scendere in campo, assumerli, sostenerli. La seconda è che un rilancio non può aversi se non nel contesto generale di un rilancio della regione e di tutto il Mezzogiorno. Pensare che Napoli possa essere un’oasi felice in un Mezzogiorno desertificato e stagnante è pura illusione. Un rinascimento ristretto all’ambito angusto della cinta daziaria potrebbe forse rallentare in qualche misura il declino, ma non fermarlo o invertirlo. Questo è in particolare evidente se si considerano le sfide di più ampia prospettiva, come quelle che guardano a un ruolo attivo in un contesto euromediterraneo. Sono indispensabili per costruire un futuro che non sia effimero ed evanescente. Un simile protagonismo non può essere un obiettivo solo napoletano. Ad esempio, richiede una strategia sui porti, l’alta velocità e più in generale la mobilità inter e infra-regionale. Sarà cruciale in questo quadro incidere sulle scelte del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), ed evitare che l’autonomia differenziata conduca alla frammentazione del paese. L’Italia delle repubblichette non potrà mai essere un orizzonte conveniente per il Sud. L’identità di Napoli può e deve essere quella di soggetto propulsore, e catalizzatore positivo delle energie del Sud, che deve diventare interlocutore nelle grandi scelte nazionali. E non siamo rassicurati dal primo Draghi che abbiamo visto in parlamento per la fiducia».
2)L’esigenza di una piattaforma programmatica propositiva, di medio-lungo periodo, non necessariamente in contrapposizione alle città del Nord, è più che una necessità per Napoli e per il Sud. Questa scelta impone un dialogo pressante con i Governi, qualsiasi essi siano, per un capoluogo che conti e non solo racconti. Il dialogo istituzionale è positivo sempre e comunque oppure deve passare prima per una rottura traumatica, viste le tante “sottrazioni” a cui gli esecutivi nazionali ci hanno tristemente abituati?
«Davvero non capisco di che rottura può trattarsi. Rompere con chi, e per ottenere cosa? Il concetto stesso di rottura, applicato alle istituzioni, può soltanto portare isolamento e maggiore debolezza. L’unità e la solidarietà scritte nella Costituzione implicano che il confronto e il dialogo siano strumenti necessari, da praticare costantemente. Questo non significa essere recessivi o timidi nel far valere le proprie ragioni. La scomparsa della “questione meridionale” dall’agenda politica ha prodotto per il Sud un danno nella distribuzione delle risorse pubbliche quantificabile e ormai certificato da molti studi ed analisi, a partire dalla Svimez. Chi vive al Sud a parità di tasse pagate riceve servizi peggiori per qualità e quantità. Siamo figli di un dio minore. La pandemia ne ha dato una prova indiscutibile per la sanità e la scuola, che toccano i fondamentalissimi diritti alla salute e all’istruzione. Questa realtà deve essere portata con forza nella politica e nelle istituzioni a livello nazionale, soprattutto in momenti decisivi come le decisioni sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Il discorso programmatico di Draghi non è stato in questa prospettiva soddisfacente. Ma è chiaro che non servirebbe a nulla che Napoli, o qualsiasi altra città, cercasse di farsi sentire da sola. Nessuno ascolterebbe. La politica, le istituzioni, la società civile, le università, l’imprenditoria, il sindacato nel Sud devono fare rete e cercare sinergie, perché invece se sono in campo ventidue milioni di cittadini e chi parla per loro nessuno può permettersi di non ascoltare. Quei ventidue milioni possono dimostrare che il rilancio del Sud come secondo motore del paese non è richiesta assistenziale, ma è scelta strategica che conviene anche al Nord, diversamente destinato – come già sta accadendo – a perdere posizioni nelle classifiche europee. Insieme, siamo più forti. Ovviamente, piccole diatribe locali che rilevano solo per il destino politico di questo o quel personaggio non interessano a nessuno e vanno messe assolutamente da parte. È bassa cucina».
3)Le categorie sociali ed economiche di Napoli molto spesso disegnano “separatamente” il destino dei cittadini, ognuno con la presunzione della conoscenza che diventa verità assoluta e non riproducibile da tutti gli altri. Il dialogo, la sintesi, una comunità di interessi, tra i soggetti sociali della nostra città sono possibili o ci dobbiamo rassegnare per sempre?
«Rassegnarsi significa con certezza essere sconfitti. Non c’è dubbio che esistano forme di arrogante presunzione che attraversano la società, la cultura, l’economia. Ci sono sempre state. Una politica forte e vitale saprà acquisirle, metabolizzarle, e volgerle a sinergie positive. Questo compito veniva svolto un tempo essenzialmente da partiti politici dotati di forti organizzazioni e radicamenti, purtroppo quasi del tutto scomparsi. Viviamo nel mondo di internet, e in una realtà molto diversa. È però indispensabile ritrovare in modi nuovi l’antica capacità di mediazione e di sintesi. Da questo punto di vista internet, che ha certo contribuito a destrutturare il mondo di un tempo, può essere per converso utile nella costruzione di quello in cui oggi ci troviamo».
4)Dopo il Covid – 19 è cambiato il mondo e le città non potranno restare a guardare. Secondo te, Napoli in quale miglior modo può reagire, quale terreno deve principalmente recuperare per non “perdersi” definitivamente?
«Io penso che il primo passo da fare sia recuperare una “buona amministrazione” che molti napoletani considerano perduta. Nell’immaginario collettivo elemento essenziale dell’identità cittadina è appunto la vivibilità, in termini di lavoro, mobilità, tempo libero, cultura, sicurezza. Non è un caso che Napoli sia in fondo alle classifiche per quanto riguarda la qualità della vita, che poi è speranza di futuro. Se esistono condizioni oggettive che rendono impossibile raggiungere un livello adeguato, bisogna con chiarezza esporle alla cittadinanza e portarle nel confronto politico e istituzionale. Ad esempio, se la struttura amministrativa è debole per numero insufficiente dei dipendenti, l’età media avanzata, la mancanza di saperi tecnici necessari per la digitalizzazione o quant’altro, va fatto un piano di dettaglio per il rafforzamento indispensabile, magari in sinergia con le università, con esperti, con il sindacato, con le associazioni di utenti. Servirà a controbattere il luogo comune che il Sud è un pozzo nero destinato a bruciare per incapacità e malamministrazione, quando non per corruzione e illegalità, le risorse pubbliche. Servirà a mobilitare a supporto le energia cittadine. Così si apre la strada per porre il problema sul tavolo delle decisioni nazionali, in specie ora che Draghi richiede un rafforzamento della amministrazioni meridionali per spendere bene i fondi del PNRR. Cosa e come rafforzare, con quali risorse? Il Sud è debito cattivo? È spesa improduttiva? Bisogna in ogni modo contrastare la tesi che le risorse pubbliche disponibili vanno concentrate sulla “locomotiva del Nord”, perché investirle nel Mezzogiorno equivarrebbe a sprecarle».
5)La partecipazione è un elemento di valore e dovrebbe riguardare la politica, ma anche e soprattutto l’ambito sociale e culturale, ma troppo spesso evoca scenari senza sporcarsi le mani. Napoli ha bisogno di un orizzonte ma anche di certezze amministrative e comportamentali. Al futuro ci si arriva con atti concreti, costanti e duraturi. Da dove si comincia per allargare la base democratica in città?
«“Armiamoci e partite” è una linea sempre di successo, soprattutto in politica. La partecipazione democratica è una formula affascinante ed evocativa, ma è un percorso faticoso e difficile. Anzitutto perché bisogna preliminarmente conoscere e capire. Da parlamentare avevo nel mio collegio – Senato, Napoli I – 1752 vie, vicoli, piazze. Ho consumato molte paia di scarpe percorrendoli. Un punto di partenza può essere dato da quelle entità associative che conoscono la vita vera della città, e non scrivono un copione teatrale dell’essere o del dover essere. Da loro può venire da un lato la rappresentazione dei bisogni e la formulazione di possibili risposte da parte della politica e delle istituzioni. Dall’altro, possono essere gli occhiuti guardiani dell’azione amministrativa, dei suoi risultati, dell’osservanza di principi essenziali di correttezza e legalità. In sinergia, potrebbe muoversi il sindacato e quel che rimane dell’organizzazione dei soggetti politici, o almeno di alcuni di essi. Personalmente, voglio sperare che la sinistra non sia solo ormai quella delle ZTL. Ma anche qui bisognerebbe cercare di fare rete tra tutti i soggetti disponibili a scendere in campo. E tutti dovrebbero convincersi che non basta fare un’assemblea, virtuale o in presenza, in cui le anime belle – non importa se molte o poche – si compiacciono delle proprie idee e delle formulazioni eleganti, lasciando poi ad altri il compito di realizzarle».
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