La formalizzazione del disegno di legge da parte di un senatore della Lega (di primo piano) sulla differenziazione delle retribuzioni tra Nord e Sud, chiarisce definitivamente la natura del Governo di destra in materia di lavoro e, quindi, di diritti.
Fui facile profeta quando ebbi modo di dire, da queste pagine, che dietro l’autonomia differenziata si nascondeva l’attacco ai salari, la differenziazione delle retribuzioni tra Nord e Sud, agganciando la contrattazione di secondo livello al costo della vita. Ecco come mi esprimevo il 4 dicembre del 2019: https://www.ilmondodisuk.com/autonomia-differenziatalirresistibile-voglia-aumentare-salari-al-nord-un-pacchetto-del-lavoro-far-arretrare-sud-ricchezza/
Forza Italia dice No al salario minimo, la Lega vuole differenziare Nord e Sud con l’autonomia e l’introduzione delle gabbie salariali, mentre Fratelli d’Italia rimane nel mezzo, lascia “scrivere” la macelleria sociale ai suoi alleati, parla di una generica “Decontribuzione al Sud” favorendo le imprese. Sul punto sostiene, da sempre, l’aumento dei voucher e l’eliminazione dei sussidi di disoccupazione.
Questa è quella malsana idea di “dignità del lavoro” di questi governanti.
Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, dal canto loro, gridano ai quattro venti la loro ferma opposizione. Ma sembrerebberolacrime di coccodrillo. Sin dalle pre-intese tra il Governo e le tre Regioni del Nord (Veneto, Lombardia e Emilia Romagna) sull’autonomia differenziata, nate in “sinergica concordia” proprio con i capi di palazzo Chigi (da Gentiloni a Conte 1 e 2, fino ad arrivare a Monti), si stabiliva un principio denominato “Tutela e sicurezza del lavoro”.
Quella presunta “tutela e sicurezza” nel campo del lavoro chiariva, in maniera strisciante, la direzione di marcia per la definitiva destrutturazione dell’Italia, proprio a partire da una politica salariale disuguale tra il Mezzogiorno e la restante Italia.
La disarticolazione tra Nord e Sud contenuta nell’autonomia differenziata viene proprio da lì, questa è teorizzata proprio a partire dalle pre-intese di cui sopra, ovvero favorire il regionalismo differenziato attaccando innanzitutto il salario minimo (omogeneità della paga su tutto il territorio nazionale) e reintroduzione delle gabbie salariali (differenze retributive). Poi si diminuisce (fino ad annullarlo) il reddito di cittadinanza, si abbassano le tasse per le imprese che devono “creare lavoro” e si precarizzano i rapporti di lavoro, a partire dalla flessibilità in entrata. Ecco come si spacca l’Italia in due.
Purtroppo, per chi come me è abituato a “ripassare” i programmi elettorali delle forze politiche e i documenti istituzionali precedenti, risalta immediatamente agli occhi la “flebile” distinzione tra centrodestra e centrosinistra.
La Regione Emilia Romagna, e successivamente anche il Piemonte (centrosinistra), hanno favorito il cammino delle Regioni di Veneto e Lombardia, appannaggio del centrodestra, aprendo un varco alla divisione del paese.
Dicendosi d’accordo con la Lega, ma “un po’ meno”. Tutto uguale a quanto sosteneva il centrodestra, ma “un po’ meno”. Infatti, nei programmi elettorali di PD e M5S alle elezioni dell’ottobre del 2021, l’autonomia differenziata era positivamente citata, ma “un po’ meno”. Temperata ma presente, contornata dal principio dell’unità nazionale solo per non dispiacere agli elettori del Nord.
Insomma, sull’autonomia differenziata il centrosinistra dice le stesse cose del centrodestra, solo “un po’ meno”.
Con queste convinzioni, di fatto, l’Italia si spaccherà per mano dell’attuale Governo, ma il dramma è che non si intravede una opposizione degna di questo nome per fermare una deriva che si accompagnerà anche a riforme costituzionali. Con pesanti conseguenze che si ripartiranno in più direzioni e muteranno i rapporti di forza politici, a tutto svantaggio del Parlamento e dell’attuale sistema di contrappesi tra i poteri dello Stato.
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Foto da Pixabay

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