Che c’entra l’autonomia differenziata, lo stress del contante e il ruolo delle banche, il sistema elettorale, il debito pubblico e la mancanza di una classe dirigente del Sud? Tre riflessioni che provano a mettere in relazione tutti questi punti.
La prima. Sin dagli anni ’90 sotto attacco vi era il sistema elettorale proporzionale, ovvero si diceva che quella modalità di voto favoriva la frammentazione delle forze politiche e, per effetto degenerativo, aumentavano i politici e i “clienti” della politica. Pertanto si mise sotto attacco il proporzionalismo, perpetuato dagli enti di governo quanto da quelli del sottogoverno, perché faceva aumentare a dismisura il debito pubblico.
Salvo scoprire che l’indagato non era la modalità di voto, quel “detenuto” risultava essere innocente, il “colpevole” era la finanza allegra indirizzata dal liberismo economico. La prova empirica è che nel 1994 il rapporto debito/PIL era pari al 124%, mentre nel 2018 si attestava al 132,2%.
Una menzogna trentennale che ancora oggi non viene sostanzialmente sbugiardata, con l’aggravio di aver ridotto gli spazi di democrazia ed aver lasciato mano libera a “finanza e finanzieri” che hanno propinato ricette fino a ridurre a zero il portafoglio degli italiani. Ovvero degli italiani più poveri, quelli del Sud, quelli in ritardo di sviluppo, quelli meno rappresentati.Complice anche una sinistra malata di frazionismo e non efficace a contrastare la degenerazione politica di quegli anni.
La stessa riduzione dei parlamentari viene da una cultura non nuova, ovvero da quel filone che deve aumentare la distanza tra eletti ed elettori, con l’idea di “semplificare” il quadro della politica costringendo alle aggregazioni forze e culture diverse. In nome di un bipolarismo fallito in partenza, facendo pagare il costo sociale ai piccoli, ai poveri, alla comunità, alla massa, che si vedranno esclusi, salvo omologarsi.
La seconda. L’autonomia differenziata di oggi, ovvero un’Italia a due (tre) velocità, è figlia di quel prodotto culturale  che vuole “staccare” un pezzo del paese e porlo ai margini economici, misurando la competitività tra i territori con la produzione di ricchezza, in completa assenza di un quadro di regole condivise e di una “proporzionalità pubblica” di prestazioni, interventi e servizi, rispondenti alle esigenze del Mezzogiorno.
L’ossessione per la tracciabilità del contante, della lotteria dello scontrino, delle commissioni con prelievi da bancomat, misure che “guardano” a quei pochi detentori di quattro spicci, al cospetto degli evasori grandi e grandissimi che hanno portato i loro capitali all’estero, con l’idea di “scudarli”, ovvero di farli rientrare in cambio di cifre irrisorie, determinerà ancora di più la distanza tra chi si pone dentro le regole e chi le regole le scrive per i grandi portatori di interesse.
Chi oggi si propone di risolvere la crisi è proprio colui che l’ha determinata, un problema non può essere risolto da chi è parte di esso, da chi cioè lo ha scientemente guidato. Allora bisogna parlare di “padroni della crisi”, di chi mantiene viva la spaccatura tra i territori, di chi esclude la massa per attribuire prebende ai privilegiati. Di chi, per dirla chiaramente, ha la cassa in mano e la distribuisce discrezionalmente, nei lavori pubblici, nella sanità, nell’istruzione, nei trasporti, nella cultura.
La terza. La mancanza di una classe dirigente del Sud degna di questo nome ormai è un fardello insopportabile. Non è più possibile rimandare il punto, per lo stesso Sud oltre che per l’intero paese. Continuare a lamentarsi della rappresentanza politica e istituzionale non ci porterà lontano, bisogna “spezzare” la lontananza tra istituzioni e persone, recuperare la distinzione tra rappresentanza e partecipazione.
E’ necessario ritornare a contrastare l’idea del pubblico cattivo e del privato bello e benefattore, logica che ha portato la politica direttamente nelle mani dell’economia, eliminando, di fatto, i soggetti sociali detentori dell’alterità, dell’idea di una costruzione di un altro mondo possibile, di quel fare comunità capace di riprendersi le proprie azioni collettive.
Da questo punto di vista il Sud è orfano della politica, della società, del fare sistema, è stato annichilito dall’interno, deteriorato dentro le proprie fila. E’ stato ucciso con le sue stesse mani. Emerge la necessità di indicare una direttrice di marcia. Una reazione forte e contraria alla riduzione delle forme e delle espressioni democratiche, alla separazione tra le due (o le tre) Italie, alla finanziarizzazione dell’economia, al sodalizio tra i governi e il mondo di internet. Una spinta opposta che sappia contrastare la pericolosa vicinanza tra governanti, banchieri e mondo virtuale.
Il Sud in questo nuovo mondo ha già perso se non decide di rialzarsi, non può resistere tra giganti famelici che non sono disposti ad aspettare chi è più indietro, a livellare ciò che è necessario, a pareggiare ritardi e fughe in avanti. Ma con chi e fra chi? La risposta non può che essere collettiva.
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In foto, gente del no, metafora della spinta opposta di cui avrebbe bisogno il Sud

 

 

 

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