Le disobbedienti/ Livia Capasso svela le maestre dell’arte. Donne di talento che (finalmente) emergono da una storia scritta sempre al maschile

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«La selezione, non facile, è avvenuta sulla base di un giudizio personale di qualità e di particolare rilievo, generato da un linguaggio innovativo, da un’originalità di forme e contenuti, dalla capacità di interpretare il proprio tempo, e non ultima una padronanza dei mezzi espressivi»è la dichiarazione di apertura con cui Livia Capasso introduce alla lettura del libro di cui è autrice “Le maestre dell’arte” pubblicato da Nemapress edizioni.
In copertina compare anche il logo dell’associazione Toponomastica femminile, da anni impegnata a promuovere la presenza delle donne nelle intitolazioni di vie, piazze, viali e luoghi delle nostre città, di cui è socia cofondatrice.
Per #ledisobbedienti scelgo spesso libri che raccontano di artiste perché di loro, tranne l’eccezione di pittrici divenute famose, iconiche e commercialmente interessanti come nel caso di Frida Kahlo e Artemisia Gentileschi, poco o nulla – di solito nulla – si conosce. Capasso, in una panoramica dalla preistoria alla contemporaneità, ne presenta molte raccontando quanto dirompente il loro messaggio e lavoro sia.
Partiamo dalla citazione dell’archeologo americano Dean Snow relativa alle impronte delle mani rinvenute in luoghi risalenti al Paleolitico superiore: «[…] dal 2004 ha analizzato e ha potuto stabilire che tre quarti delle impronte sono state lasciate da mani femminili […] È affascinante quindi pensare che le donne siano state le prime artiste della storia, vissute circa 25 mila anni fa. Tanto più che, avendo queste raffigurazioni una funzione scaramantica, si sa che in alcune società di cacciatori-raccoglitori spesso gli sciamani erano donne.”
Andando avanti nella lettura segnalo il profilo di Christine de Pizan che, vissuta tra il Trecento e il Quattrocento, scrisse “La Città delle Dame” in cui scardinò gli stereotipi che vorrebbero le donne deboli, inclini al peccato e scarsamente dotate d’intelletto. Un testo importante.
Incontriamo poi Plautilla Nelli che nel Cinquecento studiava la fisiologia anatomica delle suore consorelle al punto che di lei si arrivò a dire che, in luogo di Cristi, dipingesse Criste. Nello stesso periodo – e fino al Seicento – di artiste ce ne furono tante a Bologna, città dove le donne potevano aspirare a ricevere un’educazione degna di questo nome senza, però, poter allontanarsi dalla famiglia.
L’autrice presenta le figlie d’arte dotate di talento come Elisabetta Sirani, Antonia Uccello e Lavinia Fontana che pose come condizione pre matrimoniale quella di poter continuare a dipingere e fu, così, apprezzata da papa Gregorio XIII che la nominò Pontificia Pittrice. Tra loro anche Marietta Robusti, figlia di Tintoretto e Fede Galizia.
Pagine dopo Capasso presenta Properzia de’ Rossi come la prima scultrice del Rinascimento e l’unica inclusa da Vasari ne “Le vite” soffermandosi su Sofonisba Anguissola e le incisore Diana Scultori Ghisi e Teresa del Po. Per le architettrici nomino qui Plautilla Bricci e per le ritrattiste Chiara Varotari – che scrisse il trattato “Apologia del sesso femminile” – e Mary Beale che scrisse un libro a fini didattici per coloro che aspiravano a dipingere.
Nel Settecento incontriamo, tra le altre, Ultika Frederika Pasch che, benché ammessa all’ Accademia Reale Svedese delle Arti, a differenza dei colleghi non ricevette mai una pensione. E non che non l’avesse chiesta e sollecitata.
Tra il Settecento e l’Ottocento oltre la famosa Élisabeth Vigée- Le Brun, scappata dalla Francia durante la rivoluzione perché ritrattista, amica e confidente di Maria Antonietta – e maestra di tante allieve – incontriamo altre artiste degne di nota. Arriviamo al XX secolo in cui leggiamo di Mary Edmonia Lewis, la prima donna afro americana internazionalmente riconosciuta come scultrice, Adelaide Johnson la “scultrice del movimento femminista” e Vanessa Stephen Bell, sorella maggiore di Virginia Wolf che nel 1932 – insieme con il pittore Duncan Grant – realizzò un servizio di piatti con i ritratti di donne illustri.
Altrettanto interessante è il profilo di Nori de’ Nobili a cui la sua città, Pesaro, nel 2012 ha dedicato un museo sede di un Centro studi sulla donna nelle arti visive contemporanee. Ci sono, poi, le astrattiste, che sollevano l’interrogativo su chi abbia realizzato il primo dipinto astratto.
Nella maggior parte dei testi leggiamo che fu Kandinskij ma – scrive Capasso –« … alcuni anni prima Hilma af Klint, una donna, un’artista svedese, vissuta tra ‘800 e ‘900 e rimasta sconosciuta fino alla fine del secolo scorso, aveva già gettato le basi per un’arte in cui il colore, le forme fossero strumenti di una ricerca interiore”.
Ci fu poi il Futurismo «[…] un Movimento misogino, proclamava il disprezzo della donna e costruiva una visione dell’arte su valori maschili quali la forza, la velocità, la guerra. Eppure al suo interno ci furono tante donne, indipendenti, artiste e intellettuali di primo piano, che aderirono al movimento, sperimentando innovazioni anche in ambiti trasversali quali le arti decorative, la scenografia, la fotografia, il cinema, la danza, la letteratura, il teatroi». Tra loro Benedetta Cappa e Adriana Fabbri che scrisse: «L’intelligenza non ha sesso: io sono, io voglio essere un’artista. Poi, sarò, naturalmente, donna».
Regina Cassolo alla cui morte, in seguito alla donazione da parte del marito delle sue opere al Comune di Mede nacque il museo “Regina”, Luce ed Elica Balla figlie d’arte di Giacomo.
Andando avanti nella lettura si arriva al periodo surrealista:  «Mai così elevato, come in altri movimenti, è stato il numero di artiste che hanno aderito al Surrealismo, con una produzione eterogenea e distinta da quella maschile […] Le artiste surrealiste, sfidando le convenzioni sociali e rifiutando le regole imposte da famiglia e società, spesso fuggendo da casa per unirsi al gruppo, hanno sperimentato nel Movimento un’opportunità di liberazione sociale, un baluardo, unico in quell’epoca, a difesa dei diritti delle donne».
Tra le ultime pagine dedicate alla contemporaneità è interessante apprendere che June Wayne, annoverata tra le tessitrici, divenne nota come Giovanna d’Arte per il suo impegno come femminista. Capasso propone un lavoro interessante e importante affinché si colmi una lacuna non più accettabile: l’arte è – da sempre – un talento che riguarda sia gli uomini che le donne e se di queste ultime non sappiamo abbastanza è ora di rimediare. Sono felice di aver letto e raccontato per #ledisobbedienti il lavoro di ricerca per trarre dalle pieghe del passato le artiste condotto da da una donna, Livia Capasso, e prima di un uomo
La parità si costruisce così, collaborando al processo di cambiamento culturale. Tante sono le artiste ricche di talento da scoprire: adesso ci sono i testi per conoscerle.
© Riproduzione riservata  
IL LIBRO
Livia Capasso,
Le maestre dell’arte,
Nemapress edizioni
Toponomastica femminile
Pagine 431
euro 25

L’AUTRICE
Livia Capasso napoletana di origine, si è laureata in Lettere Moderne con indirizzo storico-artistico, ha insegnato storia dell’arte. Vive a Roma ed è socia co-fondatrice dell’associazione Toponomastica femminile, attivista in diverse associazioni impegnate nella lotta alle discriminazioni, soprattutto quelle di genere e nell’abbattimento degli stereotipi. Ha scritto “Storia di Giulia, di stereotipi e pregiudizi e i racconti “Donne in trincea”.

Le altre recensioni de #ledisobbedienti dedicate al tema donne e arte:
https://www.ilmondodisuk.com/le-disobbedienti-donne-della-rive-gauche-americane-francesi-e-inglesi-che-scelsero-di-vivere-a-parigi-1900-1940/.

tra le biografie romanzate:

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