Le disobbedienti/ Vittoria Colonna rivive nella biografia (romanzata) di Giulia Alberico. Anima libera nella poesia, critica verso una società maschile

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Chi, come me, è napoletana sa chi è Vittoria Colonna (Marino, aprile 1490 o 1492 – Roma, 25 febbraio 1547) una poeta, una donna colta e intelligente che dialogò con letterati, artisti, papi e potenti, uomini e donne legati – o avversi – al potere temporale attraverso l’adesione alle correnti che da questo volevano prendere le distanze: «Erano donne di grande cultura, curiose dei saperi più disparati, dall’arte alla musica alla poesia. Avevano il coraggio e la forza di esprimere le loro idee, possedevano la grande virtù del dubbio, della domanda. Non si erano consegnate a ruoli modesti di acquiescenza come il loro sesso avrebbe suggerito. Non faceva per loro essere dame riverite e di corto pensiero. Fu la loro condanna».
Così scrive Giulia Alberico in “Il segreto di Vittoria” pubblicato da Piemme, una biografia romanzata in cui si alternano le voci narranti di Vittoria Colonna e della dama di compagnia che fin dalla nascita l’accompagnò. L’autrice, come suo costume, indaga l’animo della protagonista svelandone pensieri e moti dell’animo: la scoperta di un’anomalia fisica che le segnerà la vita, il dolore insuperabile causato dalla morte in giovane età di Ferrante d’Avalos suo sposo, la profondità del legame con Michelangelo e i dubbi religiosi che la portarono a frequentare le correnti riformiste, a incontrare Juan de Valdés, il cardinale Reginald Pole, Giulia Gonzaga e quanti si ponevano domande sulla condotta di una corte pontificia conosciuta per i suoi eccessi e l’allontanamento dal vangelo.
Ogni romanzo, ogni storia, ha un inizio dai cui prendere l’avvio e quello scritta da Alberico si apre conducendo l’attenzione di chi legge sugli scritti che Vittoria si premura di occultare prima della sua morte, le pagine che verranno raccolte dalla seconda voce narrante, la dama di compagnia: «Dopotutto è necessario seguire l’istinto che anima la scrittura, non si scrive solo per diletto ma per dare voce all’anima».
Memorie, considerazioni e pensieri pericolosi se letti da occhi alla ricerca di prove per una accusa di eresia, gli occhi del cardinale Carafa ad esempio. L’anima che animava la scrittura di Vittoria, non volendo farsi imbrigliare e tacitare, si intratteneva con altre a lei affini come quella di Polissena, ovvero Judith Landsdale che le scrive: « […] credo nel libero pensiero, nel valore delle osservazioni anche critiche alle istituzioni che sono da secoli gestire da soli maschi», l’autrice ritorna sul punto scrivendo, a proposito della protagonista: «Fu talmente tesa a mortificare la sua femminilità che due papi, Clemente VII e Paolo III, elogiandola la definirono: Mulier superegressa sexum, vale a dire che valicava l’appartenenza di genere. Non si capisce se fosse questo un lusso o una condanna».
Talvolta, ancor oggi, per tributare un complimento a una donna la si paragona a un uomo: «Caspita! Hai parcheggiato come un uomo!». oppure «Sei un vero manager, non ti lasci travolgere dall’emotività» dopo secoli siamo ancora intrise/i di questo bisogno di riconoscere un primato a quelle donne che scelgono di adottare uno stile maschile rinunciando alle proprie caratteristiche, quelle caratteristiche che facendo la differenza arricchiscono e apportano un valore aggiunto.
Nel racconto biografico sono disseminati diversi spunti di riflessione. Il primo su cui mi sono soffermata riguarda il modo in cui organizziamo e viviamo i nostri ricordi: «Che strana cosa i ricordi! Di quell’orto ho memoria di un alberello d’arancio, era in piena fioritura e l’odore della zagara giungeva fino a noi, seduti sulla panca. Mi pareva di sentire per la prima volta quel profumo così tenero, eppure a Ischia c’erano aranceti folti, li conoscevo, ma non ne serbavo il ricordo. Invece lì, in quell’orto di MAcel de’ Corvi, uno striminzito alberello fu un’epifania».
Talvolta capita di stupirsi di rimembranze olfattive, visive, uditive o tattili che ci si riaffacciano alla mente, anche ripetutamente, mentre per altre si è scelta la via dell’oblio. La memoria è il modo in cui costruiamo ricordi che ci dicono, in ogni momento, chi siamo e come siamo diventate le persone che ci guardano dallo specchio. Il secondo spunto sul quale ho riflettuto mi è stato suggerito da un timore espresso da Vittoria in dialogo con la propria dama di compagnia: «Ho paura per loro, se ami qualcuno, temi che gli possa accadere del male come se accadesse a te. Le persone amate sono una parte di noi stessi. O di quel che saremmo potuti essere», una considerazione di questo genere richiede due qualità: sensibilità e onestà intellettuale.
La prima tra le due emerge nel ritenere le persone amate parte di noi stessi mentre la seconda, l’onestà intellettuale, è propria di chi riconosce il modo e la profondità con cui la nostra potenzialità viene plasmata e indirizzata dagli altri: mentori, modelli positivi di riferimento, persone care.
In una società egocentrica come quella in cui viviamo non è cosa da poco fermarsi a ragionare sui propri limiti e sull’arricchimento che le relazioni generano nel nostro percorso di crescita, ognuna/o di noi è il risultato delle scelte che compie rispetto alla parte di realtà e di mondo circostante verso il quale dirige lo sguardo.
 ©Riproduzione riservata
IL LIBRO
Giulia Alberico
Il segreto di Vittoria
Piemme
Pagine 191
euro 19,90

L’AUTRICE
Giulia Alberico Nata a San Vito Chietino, si è trasferita per gli studi universitari in Lettere Classiche a Roma, dove vive tuttora. Ha insegnato negli Istituti Secondari per decenni. Il suo romanzo d’esordio, Madrigale (Sellerio, 1999), è ormai diventato un longseller, a cui hanno fatto seguito Il gioco della sorte, Il corpo gentile, Come Sheherazade e altri romanzi e racconti molto apprezzati. È una forte lettrice e coordina da anni un gruppo di lettura presso una libreria romana. Ha diretto collane di Narrativa, ha collaborato con riviste e quotidiani. Attualmente con le pagine culturali de L’Osservatore Romano.

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