Le disobbedienti/Rosalind Franklin, la scienziata inglese che fotografò il DNA

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Se il rapporto tra l’Uomo e la scienza è un tema al centro del dibattito filosofico ed etico da lungo tempo un altro merita attenzione, quello tra la Scienza – intesa come comunità scientifica- e le donne.
Quante scienziate sono presenti nei manuali scolastici e universitari, di quante conosciamo la vita e il lavoro, le scoperte che hanno fatto e il contributo che hanno dato al progresso della conoscenza? Pochissime. La maggior parte di loro sono sepolte nelle pieghe della Storia, oscurate, obliate.
Negli ultimi anni, grazie all’impegno di diverse persone, associazioni, fondazioni, comitati, giornaliste/i scrittrici e – qualche – scrittore assistiamo a un fermento di iniziative per colmare questo grave, imperdonabile, gap. È una bella notizia, perciò, che la storia di una di loro, Rosalind Franklin, sia appena arrivata in libreria per la collana Femminile singolare di Morellini editore in una biografia romanzata di Paola Cadelli: “Rosalind Franklin. Ho fotografato il DNA”.
Il libro, dalla copertina raffinata, è la storia una scienziata inglese di grande talento a cui l’intera Umanità deve molto: aver fotografato il DNA con il metodo della cristallografia ai raggi X. Una fotografia che ha consentito di studiare il meccanismo di trasmissione genetica. Una scoperta da Nobel, che non vinse perché mai nessuno la candidò. A vincerlo furono quattro anni dopo la sua prematura scomparsa, morì in seguito a un tumore nel 1958 a soli trentotto anni, tre uomini: James Watson, Francis Crick e Maurice Wilkins. Sul podio, forse, mancava qualcuno.
Nata in una ricca famiglia ebrea Rosalind Franklin dedicò la vita allo studio senza risparmiarsi neanche durante il periodo bellico. L’impegno, il metodo, la dedizione, il rigore scientifico e la tenacia emergono nel libro grazie alla presenza di personaggi d’invenzione – tutte donne – che accompagnano il lettore/trice nella scoperta del carattere e la personalità della protagonista.
Seguiamo la giornalista che si appassiona alle scoperte di una scienziata morta e decide di indagare chiedendo aiuto a chi ne fu cara amica per conoscerne la vita. La costruzione del testo si fonda su una contrapposizione, da un lato ci sono Rosalind e Juliette amiche d’infanzia, dall’altra un gruppo di scienziati impegnati nella gara per arrivare primi alla scoperta della struttura del DNA e al conseguente ambito riconoscimento del prestigioso premio Nobel.
A Rosalind non interessava arrivare prima ma raggiungere l’obiettivo della conoscenza che avrebbe migliorato la qualità di vita dell’intera Umanità. Non era il premio in palio a motivarla ma la ricerca attraverso il metodo scientifico.
Consapevole, fin dall’infanzia, che essere una donna non l’avrebbe aiutata si impegnò con tutte le forze per progredire nei suoi studi: «Dal mio punto di vista la fede sta nella convinzione che, facendo del nostro meglio, ci avvicineremo di più all’obiettivo e che l’obiettivo, il miglioramento di tutto il genere umano, presente e futuro, sia un bene degno di essere perseguito».
L’invisibile esercitava su di lei una enorme fascinazione, gli studi in cristallografia ai raggi X la conducevano a portare alla luce ciò che rimaneva nascosto all’occhio umano e questa sua passione trova – nella struttura narrativa – una affinità in Juliette, l’amica fotografa, che focalizza l’attenzione sul particolare che rivela i sentimenti e le suggestioni delle persone reali colte nella quotidianità.
Nei dialoghi, le due donne affrontano diversi temi interessanti, il primo è quello del rapporto tra scienza e arte. Sono questi mondi lontani, contrapposti, incapaci di comprendersi vicendevolmente? Per alcuni sì, per altri no. Sicuramente non appaiono tali nel libro in cui le amiche parlano lo stesso linguaggio nel raccontarsi delle rispettive passioni lavorative.
L’una indaga la meccanica della vita nella sua dimensione scientifica, l’altra in quella che si manifesta attraverso l’inquadratura di un obiettivo fotografico. Il secondo sono i modelli educativi familiari, ebrea londinese Rosalind ed ebrea parigina Juliette, nell’educazione emotiva che forma le persone al modo in cui manifestare – o non manifestare- i propri sentimenti mentre il terzo riguarda l’amicizia.
Tra loro esiste un legame profondo e duraturo nel tempo basato sul rispetto, la stima e l’affetto, si offrono comprensione e reciproco sostegno nei modi e nei tempi propri ai diversi caratteri. Rosalind credeva nell’amicizia tra donne e mantenne i rapporti con le compagne di studi.
L’autrice, all’inizio della stesura della biografia, si è interrogata su come costruire un processo narrativo in grado di raccontare una donna che scelse di trascorrere la maggior parte del proprio tempo in un laboratorio, la risposta la troviamo tra le pagine che scorrono fluide con uno stile coinvolgente, quel che sembrava un limite è diventato una caratteristica saliente.
Paola Cadelli compie, con il suo scrivere, lo stesso lavoro svolto da Rosalind Franklin, portare alla luce l’invisibile, grazie a lei in molte/i conosceranno la storia di una donna che scelse di dedicare la propria intelligenza alla scienza. Non sappiamo se avrebbe preferito dedicarsi esclusivamente a questa, come fu per Rita Levi Montalcini, o se avrebbe incontrato l’amore, non ne ebbe il tempo. Quel che sappiamo è che il suo lavoro è stato sottaciuto e per troppi anni i meriti della sua scoperta non riconosciuti. È venuto il momento di far conoscere la sua storia.
©Riproduzione riservata

IL LIBRO
Paola Cadelli,
Rosalind Franklin. Ho fotografato il DNA,
Morellini editore
pagine 203
euro 17,90

L’AUTRICE
Paola Cadelli vive a Pordenone dove lavora come medico e cardiologa. Ha pubblicato quattro romanzi: Gli amanti di vetro (Omino rosso editore, Pordenone), Il silenzio delle parole (Omino rosso editore, Pordenone), L’ultimo concerto (L’Asino d’Oro editore, Roma), Il giardino delle verità nascoste (L’Asino d’Oro editore, Roma). Dal romanzo L’ultimo concerto è stata tratta una pièce teatrale rappresentata al Teatro Verdi di Pordenone, e il libro è stato finalista al Premio Letteraria città di Fano.

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